Contenzioso

Jobs act, dopo la Consulta indennizzi più alti del 120%

di Claudio Tucci

La corte d’Appello di Roma, a febbraio 2019, ha riconosciuto 10 mensilità di ristoro a un lavoratore illegittimamente licenziato con 1 solo mese di anzianità di servizio. Come mai? Perché nel comminare la sanzione monetaria i giudici romani hanno valutato anche altri criteri, come le «ampie dimensioni dell’azienda» e il «comportamento del datore di lavoro» (che avrebbe indotto la risorsa a dimettersi dal precedente impiego).

Anche la corte d’Appello di Milano, ad aprile 2019, ha condannato l’impresa a ristorare con 10 mensilità il lavoratore con 1 mese di anzianità di servizio illegittimamente licenziato. Una fattispecie più o meno simile, ma le motivazioni sono state diverse (si è considerata soprattutto la «gravità del vizio del licenziamento»). La corte d’Appello di Firenze, sempre lo scorso anno, con 9 mesi di anzianità di servizio, ha condannato l’impresa a 14 mensilità per il licenziamento illegittimo; le identiche mensilità accordate, a metà 2019, dal tribunale di Venezia nel caso di un licenziamento illegittimo di un collaboratore con 10,4 mesi di anzianità aziendale (in quest’ultimo caso sono stati valutati anche i «carichi familiari»).

In base al Jobs act (articolo 3 del dlgs 23 del 2015) in tutte queste ipotesi l’indennizzo spettante ai lavoratori illegittimamente licenziati non avrebbe superato le quattro mensilità (6 mensilità da luglio 2018 per via del dlDignità).

Si è potuto salire così in alto perché, a fine 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il criterio per determinare gli indennizzi post Jobs act, cioè la sola anzianità di servizio. Una decisione confermata dalla sentenza della Consulta di giovedì scorso che ha ribadito l’incostituzionalità anche dell’articolo 4 del dlgs 23, riferito ai licenziamenti illegittimi per vizi formali o procedurali, nella parte cui statuisce il meccanismo di una mensilità per ogni anno di servizio per determinare gli indennizzi (nel range minimo 2 massimo, 12 mensilità).

La rassegna di sentenze che pubblichiamo qui sotto, uno stralcio di una ricognizione più ampia messa a punto dalla commissione di certificazione dell’università Roma Tre dopo la sentenza della Corte costituzionale del 2018, evidenzia come gli indennizzi a carico delle imprese siano letteralmente schizzati subito su, e con le motivazioni più diverse: le 10 pronunce infatti hanno accordato, complessivamente, 110 mensilità di ristori monetari a fronte delle 50 mensilità che sarebbero invece spettate in base al meccanismo delineato dal Jobs act (quello generale, due mensilità per ogni anno di servizio), ma censurato dalla Consulta. C’è stato quindi un incremento del 120 per cento.

Il tema è delicato. Il tribunale di Bari a fine 2018 ha accordato 12 mensilità a fronte di un’anzianità lavorativa di 1 anno e 8 mesi (vale a dire il doppio di quelle che sarebbero spettate ex articolo 3 del dlgs 23) perché ha considerato, anche, la «gravità della violazione commessa dal datore di lavoro» (nel caso di specie il mancato raffronto con altri lavoratori in base ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare collettivamente). Anche il tribunale di Cosenza ha fatto leva su un generico «comportamento del datore di lavoro» per riconoscere 15 mensilità a fronte di una anzianità di servizio di 6 anni (in base al dlgs 23 pre Consulta sarebbero spettate 10 mensilità).

Insomma, a prescindere se sia ragionevole avere o meno una cifra fissa del ristoro (il dibattito è apero tra gli esperti), quello che spicca da queste pronunce è un ritorno immediato alla discrezionalità dei giudici nel determinare l’entità degli indennizzi, che si è subito tradotto in un incremento generalizzato degli stessi (a carico delle imprese).

Una spinta a frenare questo “valzer degli indennizzi” arriva però dalla pronuncia della Consulta di qualche giorno fa, ha sottolineato Arturo Maresca (Sapienza, Roma), perché, d’ora in avanti, offre la possibilità di stabilizzare la determinazione del ristoro, lasciando meno incertezze. «Il giudice costituzionale - ha spiegato Maresca - ha riconosciuto l’anzianità di servizio come criterio da applicare, e che può anche essere esaustivo nel definire la misura risarcitoria. Gli altri eventuali criteri indicati dalla Corte (gravità delle violazioni, numero degli occupati, dimensioni dell’impresa, comportamento e condizione delle parti, ndr) non sono perciò integrativi all’anzianità, ma applicabili solo in funzione residuale e correttiva. Inoltre, la Consulta, in attesa che il Legislatore armonizzi l’intera disciplina dei licenziamenti, ha mandato un monito ben preciso proprio ai giudici di merito,chiedendo, cioè, di motivare rigorosamente le proprie scelte. Stop quindi alle argomentazioni generiche. Ma si dovrà motivare perché il parametro dell’anzianità deve essere corretto ricorrendo ad altri criteri».

L’incremento

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