Contenzioso

Controversie di lavoro: quando decide il giudice fallimentare

di Valeria Zeppilli

La competenza del tribunale fallimentare in materia di procedure concorsuali, funzionale e inderogabile, non riguarda solo le controversie che trovano la propria origine nella dichiarazione dello stato di insolvenza: è sempre il tribunale fallimentare, infatti, che deve decidere relativamente alle liti che possono incidere sulla procedura concorsuale, essendo relative all'accertamento di un credito verso il fallito che può costituire il fondamento di una pretesa nei confronti della massa dei creditori.
Partendo da questa premessa, la Corte di cassazione (sezione lavoro, 14 luglio 2020, n. 14975) ha delineato il confine tra la sfera di cognizione del giudice del lavoro e quella del giudice fallimentare relativamente alle controversie in materia di lavoro.
Il discrimen, in particolare, va individuato tenendo conto del fatto che il giudice del lavoro è il giudice del rapporto, mentre quello fallimentare è il giudice del concorso.
Così, se il dipendente propone un'azione in giudizio per soddisfare una propria pretesa meramente economica, tale azione è riconducibile alla sfera di cognizione del tribunale fallimentare, dato che è evidente la rilevanza della strumentalità dell'accertamento dei diritti reclamati dal prestatore di lavoro rispetto alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito.
Se, invece, l'azione proposta dal lavoratore è volta esclusivamente a ottenere una pronuncia di mero accertamento o costitutiva (come, riportando l'esempio fatto dalla Corte di cassazione, la nullità o l'annullamento di un licenziamento), la cognizione è del tribunale del lavoro, venendo in rilievo la finalità di tutela del lavoro, prevalente rispetto a quelle cui è diretta la disciplina del fallimento. Si tratta, in sostanza, di accertare un interesse alla tutela della posizione del lavoratore all'interno dell'impresa in ragione di diritti che nulla hanno a che vedere con la realizzazione della par condicio creditorum.
Dopo aver chiarito tale distinzione, la Corte di cassazione si è anche interrogata sulle sorti delle domande che hanno a oggetto solo una pretesa economica (e che quindi, in quanto tali, rientrano nella sfera di cognizione del giudice della procedura concorsuale) nel caso in cui alla sentenza di primo grado segua la dichiarazione di insolvenza della società e la sua conseguente ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria: se al curatore spetta la facoltà di proporre o proseguire il giudizio di impugnazione, il lavoratore, dal canto suo, è onerato di chiedere l'ammissione al passivo delle somme al cui pagamento il datore di lavoro è stato condannato, facendo quindi sorgere in capo al curatore la possibilità di proporre o proseguire l'impugnazione se non ritenesse di ammettere al passivo le somme.

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