Contenzioso

Infortuni, la colpa del datore va provata

di Pasquale Dui

Per accertare la responsabilità del datore in materia di infortuni sul lavoro, il lavoratore deve dimostrare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro e il nesso causale esistente fra questi due elementi. Il datore invece deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie a impedire il verificarsi dell’evento dannoso. Così la Cassazione, con la sentenza 11546 del 15 giugno 2020, ha ribadito un principio fondamentale sulla portata effettiva dell’articolo 2087 del Codice civile. Alcune riflessioni possono essere applicate anche alla tutela della salute dei lavoratori, nell’ambito della prevenzione dei contagi da Covid-19.

L’inserimento dell’obbligo di sicurezza nella struttura del rapporto obbligatorio, secondo la Cassazione, è fonte di obblighi positivi a carico del datore, che deve predisporre un ambiente e una organizzazione di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa, con la conseguenza che è possibile per il prestatore eccepirne l’inadempimento e rifiutare la prestazione pericolosa (articolo 1460 del Codice civile).

Alla luce della sua formulazione “aperta”, la giurisprudenza consolidata è concorde nell’assegnare all’articolo 2087 del Codice civile il ruolo di norma di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (tra le tante, Cassazione 24742/2018; 13956/2012; 2491/2008).

Tuttavia, pur valorizzando la funzione dinamica che va attribuita all’articolo 2087 del Codice civile, perché norma diretta a indurre l’imprenditore ad attuare, nell’organizzazione del lavoro, un’efficace attività di prevenzione con la continua ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica più aggiornata, per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, è stato riconosciuto che la responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da comprendere, sotto il profilo meramente oggettivo, ogni ipotesi di lesione dell’integrità psico-fisica dei dipendenti e di correlativo pericolo.

L’articolo 2087 non configura infatti un’ipotesi di responsabilità oggettiva, essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore. Né si può desumere dalla disposizione un obbligo assoluto per il datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta a evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero”, quando di per sé il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile. Così come non può ragionevolmente pretendersi l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psicofisica del lavoratore. Ove applicabile, un siffatto principio comporterebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile e inevitabile, e nonostante l’ambito dell’articolo 2087 del Codice civile riguardi una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici, e non possibilistici.

Non si può dunque desumere, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate. È necessario che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.

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