Contenzioso

La valutazione parte dal periodo di servizio ma va completata

di Marcello Floris

La questione di costituzionalità era stata sollevata originariamente nel giugno 2017 e la Corte costituzionale ha confermato con la sentenza 194 dell’8 novembre 2018 la illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1 del Dlgs 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte che determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato, commisurandola solo all’anzianità di servizio.

La disposizione prevedeva un risarcimento di due mensilità per ciascun anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità. Il Dl 87/2018 ha poi aumentato il range da 6 a 36 mensilità. La reintegrazione è riservata a pochi casi di eccezionale gravità, tra cui i licenziamenti discriminatori.

Secondo la Corte costituzionale, la previsione di un’indennità così configurata, crescente solo in ragione dell’anzianità di servizio del lavoratore, è contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza e contrasta con il diritto e con la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione. Preclude poi qualsiasi discrezionalità valutativa del giudice, che invece era prima esercitabile. L’esiguità dell’indennità non soddisfa inoltre il bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco imposto dal criterio di ragionevolezza.

Inoltre la previsione di un’indennità in misura particolarmente modesta, fissa e crescente solo in base all’anzianità di servizio, potrebbe non costituire adeguato ristoro per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 ingiustamente licenziati, viola il principio di uguaglianza e con esso l’articolo 3 della Costituzione, differenziando ingiustificatamente tra vecchi e nuovi assunti.

Principi simili sono stati espressi dalla recente sentenza della Corte costituzionale 150 del 16 luglio 2020, con riferimento questa volta all’articolo 4 del Dlgs 23/2015, che disciplina il caso di recesso illegittimo per vizi di forma o procedura. Resta valido il minimo di due mensilità e il massimo di 12 entro cui il giudice può stabilire l’importo risarcitorio per l’illegittimità del licenziamento, ma è stato anche in questo caso giudicato illegittimo l’automatismo per cui l’indennità è calcolata in ragione di una mensilità per anno di servizio. La Corte ha ritenuto questo metodo di calcolo contrastante con i principi costituzionali di eguaglianza e ragionevolezza. Un criterio fondato solo sull’anzianità di servizio svaluta il peso dei vizi formali e la funzione della forma del licenziamento come garanzia dei fondamentali valori di civiltà giuridica e di tutela della dignità del lavoratore.

Anche in questa fattispecie, lo stesso criterio non è idoneo – specie nei casi di modesta anzianità di servizio – a compensare il pregiudizio arrecato al lavoratore dalla violazione delle garanzie procedurali e non costituisce deterrente efficace per un datore di lavoro che le ignori.

La Corte ha specificato che l’anzianità di servizio resta comunque la base di partenza della valutazione. Ma il giudice potrà con apprezzamento motivato, valorizzare criteri desumibili dal sistema che concorrano a rendere l’indennità aderente alle particolarità del caso concreto. Tra essi: la gravità della violazione, il numero degli occupati, le dimensioni dell’impresa, il comportamento e le condizioni delle parti.

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