Contenzioso

Per le tutele crescenti licenziamenti a indennizzo variabile

di Marcello Floris

Oltre all’anzianità di servizio del lavoratore, anche le dimensioni dell’azienda e la condotta delle parti coinvolte hanno una rilevanza per stabilire l’indennità risarcitoria in caso di illegittimità del licenziamento di una persona che era stata assunta con il contratto a tutele crescenti. È quanto si desume dalle pronunce dei giudici di merito, dopo il nuovo assetto determinato dalla pronuncia della Corte costituzionale sul cosiddetto Jobs Act.

La linea tracciata dalla Consulta

Il 16 luglio la Corte ha emesso la sentenza 150/2020 con cui ha nuovamente sancito l’incostituzionalità del meccanismo delle cosiddette «tutele crescenti» introdotto dal Dlgs 23/2015. Questo sistema prevedeva una modalità di calcolo dell’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore in caso di vizi formali del licenziamento determinata esclusivamente sulla base dell’anzianità di servizio, nella misura di due mensilità per ogni anno di servizio. Il limite originariamente era tra 4 e 24 mensilità, poi portate a 6 e 36 mensilità dal decreto 87/2018 (decreto «dignità»).

La sentenza 150/2020 segue la 194 del 2018 che aveva già stabilito l’incostituzionalità dello stesso criterio di quantificazione, con riferimento ai vizi sostanziali del licenziamento. Per effetto di queste due pronunce, in sintesi è stato cancellato il Jobs Act, senza che, peraltro, siano state emanate nuove norme che i giudici possano applicare in sostituzione di quelle dichiarate incostituzionali. Ciò non ha impedito tuttavia che le cause di merito giungessero a sentenza e che i tribunali si trovassero a dover sindacare la legittimità dei licenziamenti e, se del caso, stabilire comunque l’entità dei risarcimenti.

Il comportamento delle parti

Il Tribunale di Bolzano, con la sentenza del 2 maggio 2019 uniformandosi ai principi espressi dalla Corte nel 2018, ha stabilito che l’indennità risarcitoria vada quantificata tenendo conto in primo luogo dell’anzianità di servizio (che rimane dunque il riferimento principale) e degli altri criteri desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti: numero dei dipendenti, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti. Applicando questi principi, il licenziamento in questione è stato dischiarato illegittimo e in un range fra 4 e 24 mensilità, il datore di lavoro è stato condannato a pagare 6 mensilità dell’ultima retribuzione utile per il calcolo del Tfr, in ragione delle dimensioni aziendali e del comportamento del lavoratore, sempre sostanzialmente corretto. Il comportamento tenuto dal ricorrente è stato considerato rilevante anche dal tribunale di Cosenza: nella sentenza 234 del 20 febbraio 2019, analizzando il caso di una società con meno di 15 dipendenti, ha portato a due le mensilità di risarcimento del lavoratore licenziato, in virtù del comportamento tenuto dal ricorrente nel corso del procedimento disciplinare e dei principi espressi dalla Corte costituzionale, per cui il risarcimento basato solo sull’anzianità potrebbe non costituire un adeguato ristoro, né un’efficace dissuasione dall’attuare un licenziamento illegittimo.

Valutazione del caso specifico

Nel caso di una società sotto 15 dipendenti, il Tribunale di Sassari (sentenza 14 del 29 gennaio 2019) ha tenuto conto della particolare offensività derivante da un provvedimento espulsivo assolutamente non giustificato e ha stabilito il risarcimento del lavoratore in due mensilità di retribuzione.

Il Tribunale di Roma, il 23 novembre 2018, (sentenza 9079) ha scritto molto chiaramente: «la tutela risarcitoria non può essere ancorata all’unico parametro dell’anzianità di servizio. Non possono che essere molteplici i criteri da offrire alla prudente discrezionale valutazione del giudice (...). La discrezionalità del giudice risponde infatti all’esigenza di personalizzazione del danno subito, pure essa imposta dal principio di uguaglianza. La previsione di una misura risarcitoria uniforme indipendente dalle peculiarità e dalla diversità delle vicende si traduce in un’indebita omologazione di situazioni che possono essere e sono nell’esperienza concreta diverse».

Il Tribunale di Alessandria (sentenza 282 del 29 novembre 2018) aveva accertato l’illegittimità del licenziamento per violazione del principio di proporzionalità e aveva stabilito l’entità del risarcimento tenendo conto anche delle ridotte dimensioni della società resistente.

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