Contenzioso

Stato di disoccupazione e inerzia del lavoratore

di Silvano Imbriaci

La Cassazione, con la pronuncia n. 17793 del 26 agosto 2020, torna a occuparsi della questione della permanenza dello stato di disoccupazione (con diritto alla relativa indennità) in relazione alle vicende che riguardano la contestazione del licenziamento e gli esiti di possibili accordi tra datore di lavoro e lavoratore in merito alla controversia che ne può derivare. Il principio adottato è ormai consolidato (cfr. Cass. n. 28295/2019): è sostanzialmente irrilevante ai fini dello stato di disoccupazione (e quindi della relativa indennità) la semplice contestazione in via giudiziale della legittimità del licenziamento (rectius: della cessazione del rapporto).
Nel caso di specie, una sentenza del tribunale aveva dichiarato la nullità della clausola di apposizione del termine e riconosciuto il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, condannando il datore di lavoro al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni spettanti dalla data di costituzione in mora. Il lavoratore aveva comunque concluso una transazione con il riconoscimento di una somma a titolo di danno non patrimoniale (inferiore alle annualità percepite), spinto dall'incertezza circa la possibilità per il lavoratore di conseguire gli effetti della sentenza. Ciò che rileva, secondo la Cassazione, è la riconducibilità dello stato di disoccupazione all'atto risolutivo del rapporto di lavoro, per cui l'atteggiamento inerte del lavoratore, la mancata strenua opposizione a esso, come pure l'esito transattivo della controversia, sono elementi e circostanze che non rendono automaticamente indebita la percezione del trattamento stesso.
La questione si pone, ovviamente, a fronte della convergenza di due opposti interessi: quello dell'Inps a vedersi restituito il trattamento di disoccupazione, una volta accertato giudizialmente il venir meno del presupposto della cessazione del rapporto a seguito del riconoscimento della illegittimità del recesso e della conseguente regolarizzazione contributiva, e l'interesse del lavoratore a vedersi riconosciuto comunque il trattamento, essendo questo intervenuto in un momento in cui vi era un effettivo stato di bisogno collegato allo stato di disoccupazione, e che è perdurato nel tempo anche se poi, nei fatti, la controversia tra lavoratore e datore di lavoro si è chiusa con il riconoscimento in via transattiva delle pretese del lavoratore (regolarizzazione contributiva e pagamento di una somma a titolo di definizione della controversia). Secondo la Sezione Lavoro, l'assicurazione per la disoccupazione ha lo scopo specifico (fin dalla sua creazione, ex articolo 45 del r.d.l. n. 1827/35) di fornire ai lavoratori disoccupati un sostegno al reddito nella fase di mancanza di lavoro, quando la causa dello stato di disoccupazione sia involontaria.
Sicuramente integra gli estremi della disoccupazione involontaria la scadenza del termine contrattuale, in cui la cessazione del rapporto non derivi da iniziativa del lavoratore. Ebbene, su questo presupposto, non ha alcun rilievo la contestazione della legittimità dell'atto con cui il rapporto di lavoro è cessato (es. licenziamento), in quanto l'elemento che serve a rendere effettivamente indebita l'indennità di disoccupazione è rappresentato solo dalla reintegrazione nel posto di lavoro, con la piena regolarizzazione degli aspetti retributivi e contributivi (cfr. Cass. n. 9418/2007). La Sezione Lavoro valuta la questione allo stesso modo: la cessazione del contratto di lavoro per scadenza del termine determina uno stato di disoccupazione anche se successivamente, in fase contenziosa, sia dichiarata la nullità dell'apposizione del termine e la conversione del rapporto. E anche se la controversia giudiziale si chiuda con una transazione che riconosca l'erogazione di una somma a titolo di danno non patrimoniale e la regolarizzazione contributiva. Lo stato di disoccupazione deve quindi essere valutato alla stregua e al momento dell'atto risolutivo. Non rileva il fatto che il lavoratore, pur contestando la legittimità della cessazione del rapporto, non abbia portato a esecuzione una sentenza in primo grado favorevole.
Non basta la statuizione giudiziale circa la ricostituzione del rapporto, poiché l'unico elemento che può rendere effettivamente indebita l'erogazione del trattamento di disoccupazione è costituito dall'effettiva attuazione della reintegra, poiché tale circostanza comporta una modifica del fatto generatore dello stato di disoccupazione. La Cassazione sul punto tiene a sottolineare che la necessità di una tutela forte dello stato di bisogno in presenza di una mancanza di lavoro supera anche l'esistenza di una declaratoria di invalidità della cessazione del rapporto.
Dunque, l'inerzia del lavoratore non costituisce un presupposto per la revoca del trattamento. Nessuna norma o principio impongono al lavoratore, per il mantenimento dell'indennità di disoccupazione, la necessità di portare ad esecuzione una sentenza favorevole in punto di qualificazione del rapporto. Il fatto genetico della prestazione assistenziale si è infatti già verificato e nessuna di queste situazioni solo teoriche riesce a modificarlo, con l'unico limite rappresentato dall'effettiva reintegra/ricostituzione del rapporto, con pagamento delle retribuzioni e regolarizzazione contributiva. Anche se è intervenuta la transazione, vale la circostanza in fatto per cui non si è prodotta l'effettiva ricostituzione del rapporto, unico elemento che da solo può privare di fondamento l'attribuzione del trattamento di disoccupazione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©