Contenzioso

I medici specializzandi non sono veri e propri lavoratori

di Valeria Zeppilli

I medici che sono iscritti alle scuole di specializzazione non possono essere considerati dei veri e propri lavoratori, né autonomi né subordinati, in quanto, per la Corte di cassazione (sezione lavoro, 8 settembre 2020, n. 18667), il loro rapporto si configura piuttosto come un'ipotesi particolare di contratto di formazione-lavoro disciplinata in maniera specifica.
Di conseguenza, secondo i giudici, tra l'attività che i medici prestano durante il loro percorso di specializzazione e la remunerazione che la legge prevede in loro favore non sussiste alcuna relazione sinallagmatica: gli emolumenti che sono loro riconosciuti, piuttosto, sopperiscono alle esigenze materiali per l'impegno a tempo pieno nell'attività rivolta alla propria formazione.
In sostanza, la remunerazione corrisposta agli specializzandi non può essere considerata come il corrispettivo delle prestazioni svolte, dato che queste ultime formalmente non sono volte a procurare un vantaggio alle università. L'attività dei medici durante la specializzazione, a detta della Corte, è infatti finalizzata alla formazione teorica e pratica e al conseguimento di un titolo abilitante, rilasciato alla fine del corso.
Sul piano pratico, per la Cassazione tale assunto fa sì che la remunerazione riconosciuta ai medici specializzandi non debba essere adeguata alla stregua del parametro fissato dall'articolo 36 della Costituzione e che, quindi, non sia prevista alcuna verifica in tal senso.
I giudici, nell'analizzare la posizione dei medici che frequentano le scuole di specializzazione e il relativo trattamento economico, hanno anche ribadito alcuni importanti principi sui quali la giurisprudenza di legittimità si è soffermata in molteplici occasioni.
In particolare, confermando la legittimità della scelta di applicare la nuova e più vantaggiosa disciplina prevista dall'articolo 39 del decreto legislativo n. 368/1999 solo a decorrere dall'anno accademico 2006-2008, la Corte ha sancito, tra le altre cose, innanzitutto che non sussiste alcuna irragionevole disparità di trattamento tra gli specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione da quell'anno in poi e quelli che li hanno frequentati nei precedenti periodi accademici, dato che il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma.
Inoltre, non può dirsi neanche che i medici specializzandi iscritti presso le università italiane sono trattati in maniera illegittimamente differente da quelli iscritti nelle scuole di altri paesi europei, dato che la Ue, con la direttiva n. 93/16/Cee, non ha imposto l'uniformità di disciplina e di trattamento economico tra Stati.
Infine, per i giudici i medici specializzandi non possono nemmeno essere comparati con i medici neoassunti nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, data la peculiarità del rapporto che si instaura nell'ambito della formazione specialistica.

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