Contenzioso

Il calcolo dei contributi dovuti per i redditi d’impresa e per quelli da partecipazione a società

di Silvano Imbriaci

Il principio affermato dall'ordinanza n. 18594/2020 della Cassazione riguarda l'individuazione della base imponibile sulla quale calcolare i contributi (gestione commercianti) nel caso di godimento di redditi derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa.

L'aggancio normativo è fornito dall'art. 3-bis del decreto-legge 384/1992 convertito con modificazioni nella legge 14 novembre 1992 n. 438) disposizione che regola la base imponibile in questione prevedendo che "a decorrere dall'anno 1993 l'ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui all'articolo 1 della legge 2 agosto 1990 n. 233 è rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini Irpef per l'anno al quale í contributi stessi si riferiscono".

La questione controversa riguarda proprio l'esatta identificazione del concetto di totalità di redditi d'impresa, nei casi in cui vi sia un reddito derivante dalla mera partecipazione ad una società di capitali. In realtà, l'Istituto Previdenziale rivendica la contribuzione anche per tali redditi, in quanto il lavoratore autonomo, di per sé iscritto ad una gestione, per la quale sorge la tutela obbligatoria, in relazione alla propria attività lavorativa, dovrà parametrare il proprio obbligo contributivo tenendo conto di tutti i redditi percepiti nell'anno di riferimento, compresi quelli derivanti da partecipazione a società di capitali dove egli risulti non svolgere attività lavorativa. Secondo questa tesi, in altre parole, il dettato normativo (il riferimento alla totalità) supererebbe anche il collegamento tra contribuzione previdenziale e svolgimento effettivo di attività lavorativa. Il dubbio appare del tutto legittimo, anche avuto riferimento all'art. 6 comma 3 del DPR 917/1986, secondo cui i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l'oggetto sociale, sono considerati redditi di impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi.

Dunque, i redditi di partecipazione ad una società in accomandita semplice sono redditi di impresa, anche se relativi al socio come accomandante e vanno computati nella base imponibile contributiva. In questa prospettiva, occorre dunque dare un senso al confronto con la formulazione della legge precedente (art. 1 della legge n. 233 del 1990) che invece restringeva invece la base imponibile del contributo annuo al 12 per cento del reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo all'iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all'anno precedente.

Con la nuova disposizione rileva invece, come si è detto, la totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini Irpef e non si parla più della sola attività che dà titolo all'iscrizione alla gestione ex articolo 1 legge 233 del 90. La differente formulazione della norma realizza un ampliamento della base imponibile contributiva, che il legislatore ha chiaramente voluto in connessione con il processo di armonizzazione della base imponibile contributiva a quella tributaria. Tuttavia, la Cassazione in commento, pur muovendo dalla stessa valutazione delle norme tributarie, giunge ad un risultato diverso. Il D.P.R cit. in materia di imposte sui redditi distingue chiaramente redditi d'impresa e redditi di capitale. I primi (art. 55 nel testo post riforma del 2004) sono quelli che derivano dall'esercizio di attività imprenditoriale, mentre art. 44, lett. e), (nel testo post riforma del 2004) ricomprende tra i redditi di capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRPEG (ora IRES). Siccome la base imponibile deve essere riferita alla totalità dei redditi d'impresa come definita dalla disciplina fiscale, gli utili derivanti dalla mera partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa, non costituiscono redditi d'impresa ma sono redditi di capitale. Per questo non concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi. Del resto, anche la Corte Costituzionale (n. 354/2001) ha affermato la legittimità costituzionale dell'articolo 3 bis comma 1 d.l. 384/92, non solo scludendo l'esistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra i redditi di capitale del socio di società dotate di personalità giuridica (esenti da contribuzione) e i redditi c.d. di impresa di cui fruisce il socio delle società di persone; ma soprattutto escludendo profili di irragionevolezza della medesima normativa ed attribuendo fondamento sostanziale al prodotto della discrezionalità riconosciuta in materia dal legislatore, confermata dal decreto legislativo 2 settembre 1997, n. 314, recante "Armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi di lavoro dipendente e dei relativi adempimenti da parte dei datori di lavoro", che ha accolto una nozione di reddito da lavoro utilizzabile, in linea di massima, sia a fini contributivi che a fini tributari.

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