Contenzioso

Affidamento in prova ai servizi sociali: non è ostativa l'assenza di un rapporto di lavoro già costituito

di Mario Gallo

Tra le misure alternative alla detenzione assume, com'è noto, una posizione preminente l'affidamento in prova al servizio sociale, che fonda le sue basi sul principio del finalismo rieducativo; si tratta, pertanto, di un beneficio la cui concessione richiede, da parte del giudice, la valutazione complessiva di molteplici elementi e sui quali recentemente la S.C. di Cassazione ha nuovamente puntato i suoi riflettori, fornendo alcuni interessanti chiarimenti sullo svolgimento dell'attività lavorativa da parte del reo.

Con la sentenza 25 settembre 2020, n. 26765, infatti, i Giudici di legittimità hanno affrontato il caso di una persona condannata alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di lesioni personali colpose gravi (art. 590 c.p.), che aveva avanzato al Tribunale di sorveglianza domanda di affidamento in prova al servizio sociale.

Il Tribunale, tuttavia, respingeva la domanda, concedendo la detenzione domiciliare, in quanto il reo è stato ritenuto come un soggetto socialmente pericoloso in virtù dai numerosi precedenti penali per violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro per un totale di ben dodici reati.

Da ciò sembra che si possa desumere che, forse, il reo ha ricoperto la posizione di datore di lavoro e la commissione di tali illeciti, unitamente ad altri di altra natura, ha indotto i giudici ad adottare tale decisione ritenendo, pertanto, che il profilo del condannato non consentisse la concessione della misura, più ampia, dell'affidamento in prova.

Il reo ha proposto, così, ricorso per cassazione censurando l'operato dei giudici di merito sotto diversi profili; in particolare, ha lamentato la violazione dì legge e vizio dì motivazione, ponendo in evidenza che, a suo avviso, il Tribunale ha fondato la decisione esclusivamente sul dato formale dei precedenti penali, ma senza tener conto che gli stessi sono risalenti nel tempo e della pendenza di procedimenti penali.

Il requisito dello svolgimento dell'attività lavorativa.
La S.C. di Cassazione ha, tuttavia, respinto il ricorso, giudicandolo inammissibile, mettendo in risalto che "Nel giudizio prescritto dall'art. 47 ord. pen. è indispensabile l'esame dei comportamenti attuali del condannato perché non è sufficiente verificare l'assenza di indicazioni negative, ricavabili senz'altro dal passato (si pensi ai precedenti penali), ma è necessario accertare in positivo la presenza di elementi che consentano un giudizio prognostico di buon esito della prova e di prevenzione del pericolo di recidiva".

Occorre verificare concretamente, quindi, se sussistano, o no, sintomi di una positiva evoluzione della personalità del reo e delle condizioni che ne rendano possibile il reinserimento sociale attraverso la richiesta della misura alternativa dell'affidamento ai servizi sociali; numerosi sono gli indicatori utilmente apprezzabili in tale ottica – quali, ad esempio, l'assenza di nuove denunzie, il ripudio delle pregresse condotte devianti, l'adesione a valori socialmente condivisi, la condotta di vita attuale, etc. – ma secondo la S.C. di Cassazione "…..non è, invece, necessaria la sussistenza di un lavoro già disponibile, potendo tale requisito essere surrogato da un'attività socialmente utile anche di tipo volontaristico".

Sotto tale profilo occorre osservare che già in precedenza la stessa S.C. di Cassazione ha avuto modo di precisare che lo svolgimento di attività lavorativa, pur rappresentando un mezzo di reinserimento sociale valutabile nel più generale giudizio sulla richiesta di affidamento in prova, non costituisca da solo, qualora sia mancante, una condizione ostativa all'applicabilità di detta misura, trattandosi quindi di parametro apprezzabile unitamente agli altri elementi sottoposti alla valutazione del giudice di merito.

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