Contenzioso

Lavoro, il solo ricorso cautelare sufficiente per bloccare la decadenza

di Giampiero Falasca

Il lavoratore che impugna solo con ricorso cautelare il trasferimento (e altri atti del datore di lavoro soggetti a decadenza, compreso il licenziamento) invece che con ricorso ordinario non incappa nelle preclusioni previste dalla legge. Lo ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza 212/2020 depositata ieri.

Nel caso da cui è scaturita la vicenda, un lavoratore disabile ha impugnato tempestivamente con ricorso d’urgenza (articolo 700 del Codice di procedura civile) il provvedimento con cui il datore di lavoro ha disposto il trasferimento nella sede situata in un’altra regione, ma non ha promosso anche il giudizio di merito nel termine di 180 giorni fissato dalla legge.

Il Tribunale di Catania ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma applicabile (l’articolo 6, comma 2, della legge 604/1966) che, anche secondo l’interpretazione fornita dai giudici di legittimità, non considera sufficiente il ricorso per provvedimento d’urgenza ante causam al fine di impedire il maturare della decadenza.

La norma, secondo il Tribunale, determinerebbe una sanzione sproporzionata e irragionevole rispetto agli obiettivi realmente perseguiti, nella misura in cui impedisce definitivamente al lavoratore, per motivazioni meramente formali, di ottenere una decisione sulla sua impugnazione, nonostante abbia tempestivamente contestato l’atto dell’azienda con un mezzo idoneo (il ricorso cautelare) ad anticipare gli effetti del giudizio di merito.

La Consulta, in primo luogo, individua le strade alternative percorribili dal lavoratore per conservare l’efficacia dell’impugnazione stragiudiziale: il deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro (secondo la giurisprudenza sia il ricorso ordinario che quello introdotto dall’articolo 1, comma 48, della legge 92/2012 per la domanda avente a oggetto l’impugnativa dei licenziamenti che ricadono nel comma 47) e la comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato.

Sulla base di tali presupposti, secondo la Corte costituzionale, se l’efficacia dell’impugnazione dell’atto datoriale può essere preservata dalla circostanza che la doglianza del dipendente sia portata davanti a una commissione di conciliazione o a un collegio arbitrale, ove il datore di lavoro accetti l’espletamento della procedura, non può disconoscersi lo stesso effetto, senza che sia leso il principio di eguaglianza (articolo 3 della Costituzione), alla eventuale iniziativa del lavoratore che proponga la sua impugnazione direttamente a un giudice, sia esso anche cautelare, iniziativa alla quale il datore di lavoro non può sottrarsi.

La Consulta, infatti, evidenzia che la tutela cautelare, essendo riconducibile all’esercizio della giurisdizione (articolo 24, primo comma, della Costituzione) e alla garanzia del giusto processo (articolo 111, primo comma), non può subire un trattamento peggiore rispetto ai sistemi alternativi di composizione della lite.

Inoltre, la norma sarebbe contraria al principio di ragionevolezza (articolo 3), in riferimento alla finalità sottesa alla previsione del termine di decadenza di 180 giorni, essendo la domanda di tutela cautelare idonea a soddisfare la finalità, dell’articolo 6 della legge 604/1966, di far emergere in tempi brevi il contenzioso relativo alla validità di una serie di atti negoziali, quale, nel caso in esame, il trasferimento.

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