Contenzioso

Assegni più elevati, solidarietà illegittima oltre il triennio

di Davide Colombo e Marco Rogari

Disco verde a metà della Consulta sulle misure di contenimento della spesa previdenziale volute dal Governo Conte 1. Il via libera è arrivato per il “raffreddamento” della perequazione degli assegni più elevati all’inflazione per il triennio 2019-2021 perché considerato «ragionevole e proporzionato». Stop invece a soli tre anni, sui cinque previsti, per il “contributo di solidarietà” sugli assegni superiori ai 100mila euro lordi annui. In questo secondo caso è stato ritenuto legittimo il “contributo” ma non la sua durata, perché «eccessiva rispetto all’orizzonte triennale del bilancio di previsione dello Stato». Il testo della sentenza verrà depositato nelle prossime settimane.

Il nuovo meccanismo di indicizzazione valido fino al 2021, è molto simile a quello vigente a tutto il 2018 per quel che riguarda gli assegni minori. In particolare viene confermata l’indicizzazione piena per le prestazioni fino a tre volte l’importo minimo e la quasi completa indicizzazione (97%) per quelle comprese tra 3 e 4 volte. Il profilo cambia invece per le prestazioni più elevate, che risultano penalizzate sia nel confronto con la normativa vigente nel 2018, sia rispetto a quanto sarebbe successo in assenza di intervento da parte del legislatore. In particolare, il “raffreddamento” della perequazione è proporzionale per tutti i redditi pensionistici superiori a 5 volte il trattamento minimo: valori mensili superiori a 2.500 euro lordi. All’interno di questo insieme il provvedimento ottiene l’80% dei risparmi previsti, ovvero poco più di 2 miliardi nel triennio in questione.

Discorso diverso per il “contributo di solidarietà” sulle cosiddette pensioni d’oro, che rimarrà operativo solo fino a fine 2021. Il taglio è scattato nel giugno del 2019, dopo le elezioni europee, e riguarda circa 24mila pensionati abbienti. Prevede il prelievo di un’aliquota pari al 15 per cento per la parte di pensione eccedente i 100.000 euro lordi e fino a 130.000 euro, al 25 per cento per la parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000 euro, per il 30 per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000 euro, per il 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro fino a 500.000 euro e per il 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro. Questo “contributo di solidarietà” avrebbe dovuto garantire risparmi, al netto delle fiscalità, appena superiori ai 415 milioni di euro in termini cumulati nel quinquennio, meno del 5% di quanto si spenderà nel triennio ’19-’21 per pagare “Quota 100”. Ora questi risparmi si fermeranno attorno ai 255 milioni.

La fascia di frequenza più alta di questi pensionati “d’oro” è tra 120 e 140mila euro. La riduzione media annua del loro reddito oscillerà dall'1,36% per la fascia da 110mila euro e salirà al 24% per i pochissimi che si collocano sopra la soglia dei 500mila euro lordi. Considerando che stiamo parlando di contribuenti con l’Irpef al 43%, è come se fino alla fine del 2021, solo per questi redditi, l'Irpef salisse dal 44,3% fino al 67%.

Non è la prima volta che il legislatore tenta un taglio sulle pensioni “d’oro” con motivazioni solidaristiche. Nei tempi più recenti, un primo taglio era stato introdotto dal governo Berlusconi con il Dl 98/2011 dall’agosto del 2011 a fine 2014 per le pensioni superiori a 90mila euro (con prelievi dal 5 al 15%). Ma la Consulta sentenziò la completa illegittimità costituzionale giudicando la misura discriminatoria rispetto ad altri interventi solidaristici e impose la restituzione del taglio con la sentenza n. 116/2013.

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