Contenzioso

Il danno non patrimoniale alla professionalità non costituisce reddito soggetto a tassazione

di Vittorio De Luca e Antonella Iacobellis

La Corte di cassazione, con l'ordinanza 2472/2021 del 3 febbraio, ha chiarito che il danno non patrimoniale alla professionalità va ricondotto nell'alveo del danno emergente e, come tale, non concorrente alla formazione del reddito di lavoro dipendente fiscalmente imponibile ex articolo 49, comma 1, del Tuir .

Il caso trae origine dalla sentenza del Tribunale di Roma che condannava la società convenuta - datrice di lavoro - a corrispondere a una dipendente un importo pari al 50% della retribuzione mensile per ogni mese di demansionamento a titolo di «danno non patrimoniale alla professionalità». A fronte dell'adempimento parziale da parte della società, la lavoratrice si rivolgeva nuovamente al giudice di prime cure rivendicando che il risarcimento era da liquidarsi al lordo delle spettanze creditorie, al contrario dell'adempimento sino ad allora ottenuto dalla società.

Il Tribunale accoglieva la domanda e dello stesso avviso era la Corte d’appello di Roma, che rilevava altresì come la natura del credito - danno non patrimoniale alla professionalità - e la sua natura risarcitoria - danno emergente - determinavano che gli importi dovuti non fossero qualificabili come reddito di lavoro dipendente ex articolo 49, comma 1, del Tuir. Avverso la decisione della Corte d’appello, la società datrice di lavoro proponeva ricorso in cassazione asserendo, da un lato, l'erroneità della decisione laddove aveva ritenuto che il danno liquidato espressamente a titolo di «danno non patrimoniale alla professionalità» non avesse carattere retributivo e, dall'altro, che il danno da dequalificazione professionale non avrebbe dovuto essere ricondotto nell'alveo del «danno emergente» ma, al contrario, nell'alveo del «lucro cessante» e in quanto tale imponibile.

La Cassazione, a tale proposito, ha rilevato, rigettando il ricorso e dunque confermando le decisioni dei giudici di merito, che «in tema di dequalificazione professionale, è risarcibile il danno non patrimoniale ogni qual volta si verifichi una grave violazione dei diritti del lavoratore, che costituiscono oggetto di tutela costituzionale, da accertarsi in base alla persistenza del comportamento lesivo, alla durata e alla reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale, all'inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del prestatore di lavoro, anche a prescindere da uno specifico intento di declassarlo o di svilirne i compiti (Cassazione 24585/ 2019)».

Si evince, secondo la Cassazione, che «tale tipologia del pregiudizio, come riconosciuto, determina la sua appartenenza alla fattispecie del danno emergente e non di lucro cessante, ravvisabile nelle ipotesi di perdita derivante dalla mancata percezione di redditi di cui siano maturati tutti i presupposti, per cui non è considerata reddito soggetto a tassazione (Cassazione 2549/2011; 29579/2011; 5108/2019)».

L'assoggettamento o meno delle somme a imposizione fiscale e contributiva, peraltro, deve essere ricercata nelle indicazioni fornite dall'articolo 6, comma 2, del Tuir, secondo cui «i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti». In altre parole, quindi, le somme riconosciute che derivino dal cosiddetto lucro cessante dovranno essere assoggettate al regime fiscale d'appartenenza del reddito sostituito o perduto, diversamente, qualora a predette somme sia riconosciuta la natura di risarcimento da un cosiddetto danno emergente, le stesse dovranno intendersi escluse dall'applicazione dell'imposizione di cui all'articolo 49 del Tuir e, dunque, esenti da ritenute fiscali o contributive.

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