Contenzioso

Legittima la scelta del legislatore

di Riccardo Del Punta

Con una sentenza del 17 marzo, che ha pronunciato su una questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Milano in data 5 agosto 2019, la Corte di giustizia Ue si è inserita nel dibattito, certo non sopito, sulla disciplina dei licenziamenti, e in particolare – in questo caso – su quella del Dlgs n23/2015 (Jobs Act).

Oggetto di censura da parte del Tribunale era stata la disparità di trattamento tra lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015. Ciò in riferimento a una lavoratrice coinvolta in un licenziamento collettivo che aveva interessato tutti i 350 dipendenti di un’impresa in grave crisi, e difatti poi fallita. Questi licenziamenti erano stati dichiarati illegittimi per violazione dei criteri di scelta: ma, diversamente dai colleghi, reintegrati ex lege n. 223/1991, alla lavoratrice in questione (assunta a termine prima del 7 marzo, ma “convertita” successivamente) era stata riconosciuta, in applicazione del Dlgs n. 23/2015, una tutela soltanto economica.

Il Tribunale di Milano ha ritenuto che questo trattamento contrastasse con la normativa Ue sotto due profili: la violazione della direttiva 98/59 in tema di licenziamento collettivo, e quella del principio di non discriminazione tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato. Il giudice ha così riproposto in Europa, sostanzialmente, una questione che era già stata risolta in senso negativo dalla Corte costituzionale italiana (sentenza n. 194/2018). Infatti quest’ultima, nota per aver dichiarato illegittimo il meccanismo di calcolo dell’indennità risarcitoria basato sull’anzianità, ha però respinto l’ulteriore eccezione che era stata sollevata sotto il profilo della disparità di trattamento tra vecchi e nuovi assunti. E ciò ha fatto osservando che non è precluso al legislatore di dettare discipline ragionevolmente differenziate nel tempo, come nel caso, in vista del dichiarato obiettivo governativo di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato (e a prescindere dai suoi esiti in concreto).

Il tentativo di trovare una sponda diversa nella Corte del Lussemburgo non è tuttavia riuscito. La Corte ha correttamente osservato, anzitutto, che la materia dei criteri di scelta con relativa sanzione non è toccata dalla direttiva 98/59, per cui neppure può essere esaminata alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta di Nizza. Né la Corte ha ravvisato violazioni del principio di non discriminazione, e questo le ha dato occasione di confermare (in accordo con la Consulta) la legittima perseguibilità, da parte di uno Stato membro, di obiettivi di politica economica come quello dell’incentivo alle assunzioni stabili (conversioni dei contratti a termine incluse).

La lezione della sentenza è che l’idea di vanificare la riforma del 2015 per il solo motivo della disparità tra vecchi e nuovi assunti non ha una base giuridica, quand’anche questa disparità sia apparentemente più vistosa, come in un licenziamento collettivo interessante entrambe le categorie di lavoratori. Il che nulla toglie all’opportunità di superare l’attuale doppio regime e puntare a una riforma razionalizzante: ma per mano del legislatore, e non delle Corti.

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