Contenzioso

Docenti di religione, contratti a termine convertibili se discriminatori e in assenza di tutele alternative

di Mauro Pizzin

Una normativa nazionale, come quella italiana, che nel pubblico impiega vieta la trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo determinato può essere disapplicata dal giudice solo se viene accertato che la mancata stabilizzazione comporta una discriminazione in base alla religione o in base a uno degli altri parametri dell'articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e se non sussiste nel diritto nazionale alcun altro rimedio giurisdizionale per dare una tutela effettiva, in base all'articolo 47 della Carta, al lavoratore discriminato. In questa circostanza, la revoca del divieto di conversione dei contratti a tempo determinato in questione sarà imposta dal diritto dell'Unione.

Sono queste le conclusioni a cui è giunto l'avvocato generale della Corte di giustizia europea (il bulgaro Evgeni Tanchev) nell'ambito di un procedimento (causa C-282/19) apertosi in seguito al ricorso avviato nel 2015 davanti al Tribunale di Napoli da alcuni insegnanti di religione cattolica di scuole pubbliche italiane, assunti con reiterati contratti a termine di durata complessiva superiore a 36 mesi e mai stabilizzati. Un ricorso che aveva visto costituirsi in giudizio anche la federazione Gilda-Unams e a cui si era opposto il Miur.

Il caso, che ha visto coinvolti gli insegnanti di religione, è caratterizzato da tratti particolari che hanno spinto il Tribunale partenopeo a rivolgersi alla Corte Ue, fra cui il fatto che i candidati nei concorsi pubblici per l'accesso ai ruoli di insegnanti di religione cattolica devono essere in possesso di un certificato attestante la loro idoneità rilasciato dall'ordinario diocesano competente per territorio, la cui revoca costituisce sempre motivo di risoluzione del rapporto di lavoro anche per i docenti della materia assunti a tempo indeterminato. Nel giustificare la scelta della reiterazione dei contratti a termine il Ministero aveva fatto leva sul fatto che – stante il carattere facoltativo della materia - per legge il 30% dell'organico dei docenti di religione deve comunque rimanere a supplenza.

Elementi di peso non sufficiente, secondo l'avvocato generale, che suggerirà alla Corte di dichiarare che la reiterazione di contratti a tempo determinato per gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane non è giustificata da alcuna ragione obiettiva e che detta reiterazione configura, pertanto, un abuso ai sensi dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato Ces, Unice e Ceep. Il magistrato sottolinea, tuttavia, che il divieto previsto dalla normativa italiana di stabilizzare i rapporti di lavoro nel settore pubblico non può essere “disapplicato” in virtù dell'accordo quadro cui alla Direttiva 1999/70 (trasposta nel diritto italiano dal Dlgs 368/2001) poiché esso non impone agli Stati membri un obbligo generale di prevedere la stabilizzazione dei lavoratori, per quanto debba contenere delle misure efficaci per prevenire e sanzionare l'abuso di contratti di lavoro a tempo determinato successivi.

I lavoratori – ricorda l'avvocato generale - possono però invocare a loro tutela la Carta dei diritti fondamentali, che a differenza dell'accordo quadro crea in capo a singoli cittadini veri e propri diritti che possono essere fatti valere davanti a un giudice nazionale. Pertanto, come anticipato, se il Tribunale di Napoli accerterà che dei lavoratori sono vittime di discriminazioni, dirette o indirette, fondate sulla religione o su qualsiasi altro motivo menzionato nell'articolo 21 della Carta egli potrà disporre, in virtù dell'articolo 47 della Carta (diritto a un ricorso effettivo), un rimedio efficace per sanzionarle, che non è necessariamente la stabilizzazione del rapporto di lavoro a termine. La stabilizzazione, da parte del giudice, sarà ipotizzabile solo nella «circostanza insolita» in cui non sussista nel diritto nazionale alcun altro rimedio per dare una tutela effettiva al lavoratore discriminato.

Le conclusioni dell'avvocato generale nelle causa C‑282/19

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