Contenzioso

Gestione separata, il reddito sotto i 5mila euro incide sul requisito dell’abitualità

di Valeria Zeppilli

Con la sentenza 7232/2021 del 15 marzo (ma in merito si vedano anche le pronunce 7227, 7228, 7229, 7230 e 7231) la Cassazione ha di recente fatto il punto sui presupposti per l'iscrizione dei professionisti alla gestione separata Inps, giungendo a delle conclusioni sulle quali vale la pena di soffermarsi, anche in ragione del contrasto interpretativo che, sulla questione, non è affatto sopito.

Il presupposto dell'ultima riflessione fatta dalla Corte risiede nell'assunto, più volte ribadito dalla giurisprudenza, in forza del quale l'obbligo di iscrizione alla gestione separata interessa genericamente tutti coloro che percepiscono un reddito che deriva dall'esercizio abituale o anche occasionale di un'attività per la quale è prevista l'iscrizione a un albo o a un elenco. Esso non opera esclusivamente laddove il reddito che il lavoratore produca in ragione della propria attività professionale sia già interamente assoggettato all'obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento.

A tale proposito, basta guardare al dato normativo. Innanzitutto, si legga l'articolo 2, comma 26, della legge 335/1995, il quale stabilisce l'iscrizione obbligatoria per tutti coloro che esercitano in maniera abituale ancorché non esclusiva un'attività di lavoro autonomo di cui all'articolo 1, comma 49, del Tuir. Si guardi, poi, all'articolo 44 del decreto legge 269/2003, in forza del quale il predetto obbligo riguarda anche coloro che svolgono attività di lavoro autonomo occasionale dalle quali derivi un reddito annuo superiore a 5mila euro. Tale soglia è, in sostanza, il presupposto affinché anche un lavoro autonomo occasionale possa rendere obbligatoria l'iscrizione alla gestione separata, mentre resta irrilevante se l'attività lavorativa è svolta con abitualità. Infatti, se una professione è esercitata in maniera abituale, anche non esclusiva, l'iscrizione alla gestione separata è sempre obbligatoria, a meno che il reddito prodotto non sia assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento.

In linea generale, è quindi fondamentale comprendere se un'attività libero-professionale può dirsi o meno esercitata con i caratteri dell'abitualità. Per i giudici, in tale accertamento è possibile attribuire rilevanza a una serie di presunzioni, quali quelle che si ricavano dall'iscrizione all'albo, dall'apertura della partita Iva o dalle dichiarazioni fiscali. Ciò, in ogni caso, con la precisazione che si tratta di semplici regole di esperienza dalle quali non è possibile giungere a «conclusioni indefettibili».

Ciò posto, e sebbene l'abitualità debba essere accertata «nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista» e non come «conseguenza ex post desumibile dall'ammontare del reddito prodotto», la percezione da parte del professionista di un reddito annuo inferiore alla soglia dei 5mila euro può comunque essere un indizio rilevante per escludere che la relativa attività lavorativa sia svolta con il carattere dell'abitualità.

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