Contenzioso

Portatori di handicap, il repêchage impossibile non basta per recedere

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Il licenziamento del lavoratore portatore di handicap per sopravvenuta inidoneità fisica presuppone che il datore di lavoro abbia preventivamente verificato di non potere adottare “accomodamenti ragionevoli” in una prospettiva di riorganizzazione del lavoro aziendale idonea alla salvaguardia del posto di lavoro.

Non è sufficiente che il datore dimostri l'impossibilità del repêchage per assenza di posizioni vacanti nel contesto statico della precostituita struttura aziendale, perché il rispetto del principio di parità di trattamento delle persone con disabilità impone l'adozione di ogni misura che sia ragionevolmente consentita all'impresa, sul piano organizzativo e finanziario, per evitare il licenziamento.

La Cassazione (sentenza n. 6497/2021 del 9 marzo), ha osservato, richiamando il contesto normativo sovranazionale, tra cui un posto di riguardo assume la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che per accomodamento organizzativo ragionevole si intendono le modifiche e gli adattamenti che l'impresa può disporre, sul piano concreto, senza dover sopportare un onere sproporzionato o eccessivo.

La verifica sulla ragionevolezza dell'adattamento va effettuata bilanciando l'interesse del lavoratore con handicap alla conservazione del posto di lavoro con l'interesse del datore a garantirsi una prestazione utile per l'attività di impresa.

La Cassazione spiega che non è possibile una predeterminazione in astratto dell'obbligo che incombe sul datore: occorre una verifica caso per caso in relazione alle specificità dell'impresa e alle ridotte capacità fisiche della persona con disabilità. Sul piano operativo, al fine di accertare che le misure aziendali non siano sproporzionate, occorre tener conto della inviolabilità in pejus delle mansioni degli altri lavoratori e del mantenimento degli equilibri finanziari dell'impresa.

La Cassazione conferma che il licenziamento costituisce l'extrema ratio, cui il datore non può determinarsi prima di avere ricercato tutte le soluzioni organizzative ragionevoli che consentano alla persona svantaggiata di non perdere il posto di lavoro a causa di una sopravvenuta inidoneità fisica. L'onere che viene a gravare sul datore, tuttavia, non deve essere né sproporzionato, né eccessivo, per la cui verifica si considerano elementi decisivi le dimensioni dell'organizzazione aziendale e le risorse finanziarie dell'impresa, includendovi la possibilità di utilizzare fondi pubblici o sovvenzioni.

In definitiva, ad avviso della Cassazione, deve considerarsi ragionevole ogni soluzione organizzativa che consenta di salvaguardare il posto di lavoro del disabile, a fronte di un sacrificio per l'impresa che non ecceda i limiti di una tollerabilità accettabile secondo «la comune valutazione sociale».

Il licenziamento dei lavoratori assunti come invalidi, laddove si verifichi un aggravamento delle condizioni di salute, può essere, in altre parole, legittimamente adottato solo se, anche attivando tutte le ragionevoli modifiche sul piano organizzativo aziendale, sia emersa l'impossibilità di una diversa collocazione del soggetto svantaggiato nell'ambito dell'impresa.

La sentenza n. 6497/2021 della Corte di cassazione

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