Contenzioso

Lecito mettere in ferie il dipendente anti vaccino

di Aldo Bottini e Matteo Prioschi

Come era ampiamente prevedibile, la controversa questione delle conseguenze per il dipendente del rifiuto di vaccinarsi è arrivata in Tribunale. E c’è una prima decisione in merito del Tribunale di Belluno, secondo cui l’azienda può legittimamente collocare in ferie tali lavoratori.

Alcuni dipendenti operanti presso due Rsa si sono rifiutati di ricevere il vaccino anti-Covid. Per questo motivo è stato loro inibito di accedere al luogo di lavoro e sono stati “forzatamente” collocati in ferie. I dipendenti hanno impugnato i provvedimenti e si sono rivolti al Tribunale con un ricorso d’urgenza, chiedendo la riammissione in servizio. Il giudice ha respinto il loro ricorso, affermando la legittimità (e addirittura la doverosità) del provvedimento delle Rsa di Belluno e Sedico, assistite in giudizio dall’avvocato Innocenzo Megali, attivo a Belluno e Venezia.

Il punto su cui poggia l’ordinanza è il dovere di sicurezza del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, previsto dall’articolo 2087 del Codice civile. Si osserva nel provvedimento come sia notorio che il vaccino, prevenendo l’evoluzione negativa della malattia, costituisca misura idonea a tutelare l’integrità fisica degli individui ai quali è somministrato, come dimostrano i dati desumibili proprio dall’esperienza fatta tra il personale sanitario e nelle Rsa, oltre che dalle esperienze internazionali di massiccia somministrazione del vaccino (il Tribunale cita espressamente Israele e gli Stati Uniti).

Considerato quindi che i lavoratori ricorrenti «sono impiegati in mansioni a contatto con persone che accedono al loro luogo di lavoro», con il connesso rischio di essere contagiati, il Tribunale ritiene che la loro permanenza in servizio comporterebbe per il datore la violazione dell’obbligo di sicurezza. Pertanto, secondo il Tribunale di Belluno, il datore di lavoro, nell’inibire l’accesso dei dipendenti che, pur potendolo fare, non si sono vaccinati, ha agito nell’adempimento di un proprio dovere.

L’ottemperanza all’articolo 2087 del Codice civile, prevale sull’eventuale interesse dei lavoratori a usufruire delle ferie in un periodo diverso. Il giudice conclude quindi per l’insussistenza tanto del fumus boni iuris quanto del periculum in mora. Sotto quest’ultimo profilo, respinge anche la prospettazione dei ricorrenti che paventavano, all’esaurirsi delle ferie spettanti, una possibile sospensione dal lavoro senza retribuzione o addirittura il licenziamento, rilevando che non vi è allo stato evidenza alcuna dell’intenzione del datore di lavoro di procedere in tal senso.

Quindi il Tribunale non prende posizione su quello che potrebbe accadere se la situazione sottoposta alla sua attenzione (pericolo di contagio e rifiuto del vaccino) dovesse durare oltre l’esaurimento delle ferie spettanti al lavoratore. Resta il fatto che, secondo il giudice, il datore di lavoro non può consentire l’accesso del dipendente “renitente” al vaccino in un luogo di lavoro dove questi sarebbe esposto al contagio. In primo luogo a tutela del dipendente stesso, a prescindere dalla (pur prospettabile) necessità di protezione dei colleghi o dei terzi con i quali possa venire in contatto. La collocazione forzata in ferie può essere una soluzione temporanea, ma prima o poi, se il pericolo di contagio persiste e il lavoratore non cambia idea sul vaccino, il nodo della retribuzione per il dipendente sospeso (e della sua eventuale licenziabilità a lungo andare) inevitabilmente verrà al pettine.

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