Contenzioso

Trasferimento di ramo d’azienda: autonomia funzionale e preesistenza

di Marco Tesoro

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 2112 del Codice civile, all'atto traslativo il ramo d'azienda deve conservare la capacità di svolgere, con i propri mezzi, la funzione cui era finalizzato presso il cedente e come tale deve essere identificato dai contraenti.

Questi, in sintesi, i principi enunciati dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 7364/2021.
Il caso trae origine dal trasferimento di ramo d'azienda disposto da una nota banca italiana, impugnato dai lavoratori ceduti e ritenuto illegittimo dal Tribunale e dalla Corte d'appello investiti della questione, in assenza dell'autonomia funzionale del ramo rilevata, tra l'altro, per «la mancata cessione dei programmi e dei sistemi informatici utilizzati dai dipendenti prima dello scorporo».

Cedente e cessionario ricorrevano in Cassazione, proponendo numerosi motivi di impugnazione e due istanze di rinvio pregiudiziale alla Cgue, rigettate perché non rilevanti ai fini della decisione.

Con un'articolata pronuncia, gli Ermellini hanno rigettato le pretese dei ricorrenti, fornendo una completa disamina della disciplina comunitaria e codicistica in tema di autonomia funzionale del ramo d'azienda ceduto e di preesistenza del medesimo.

In premessa, la Corte ricorda che «la cessione di ramo d'azienda è configurabile ove venga ceduto un complesso di beni che oggettivamente si presenti quale entità dotata di una propria autonomia organizzativa ed economica funzionalizzata allo svolgimento di un'attività volta alla produzione di beni o servizi».

Per gli Ermellini, la ratio della disciplina comunitaria è di assicurare la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell'ambito di un'attività economica indipendentemente dal cambiamento del proprietario, tutelando i lavoratori ove siffatto cambiamento abbia luogo.
Ad avviso dei ricorrenti, la Corte d'appello aveva escluso la sussistenza dell'autonomia funzionale del ramo ceduto in virtù di una errata individuazione degli elementi decisivi per qualificare tale requisito, e lamentavano violazione e falsa applicazione dell'articolo 2112 del Codice civile ove era stato ritenuto implicitamente necessario il requisito della preesistenza del ramo.
Anche sotto tale profilo, la Corte conferma la sentenza impugnata, dove l'elemento costitutivo dell'autonomia funzionale del ramo ceduto viene letto in reciproca integrazione con il requisito della sua preesistenza.
Per la Cassazione, l'autonomia funzionale consiste nella capacità del ramo, già al momento della cessione, di provvedere a uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali e organizzativi e di svolgere – autonomamente dal cedente e senza rilevanti integrazioni dal cessionario – la funzione cui risultava finalizzato presso il cedente al momento della cessione.
Di conseguenza, l'indagine non deve «basarsi sull'organizzazione assunta dal cessionario successivamente alla cessione, eventualmente grazie alle integrazioni determinate da coevi o successivi contratti di appalto, ma all'organizzazione consentita già dalla frazione del preesistente complesso produttivo costituita dal ramo ceduto».
A tal proposito, la Corte richiama la giurisprudenza comunitaria per cui l'impiego del termine «conservi» nella direttiva 2001/23/CE «implica che l'autonomia dell'entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento».
In merito all'articolo 2112 del Codice civile, comma 5 – che rimette al cedente e al cessionario l'identificazione dell'articolazione aziendale oggetto di cessione – i giudici chiariscono che non è consentito rimettere ai contraenti la qualificazione del ramo, facendo così dipendere dall'autonomia privata l'applicazione della disciplina in questione, ma che «debbano essere definiti i contenuti e l'insieme dei mezzi oggetto del negozio traslativo, che realizzino nel loro insieme un complesso dotato di autonomia organizzativa e funzionale».
L'atto di identificazione da parte del cedente deve avere, quindi, un contenuto accertativo e non costitutivo, in quanto la cessione presuppone l'individuazione del ramo, non la sua creazione.
Quanto sopra è in linea con l'impostazione che vieta la creazione di una struttura produttiva ad hoc in occasione del trasferimento, essendo precluso l'utilizzo delle esternalizzazioni per legittimare l'eliminazione di «di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad un ramo di azienda già costituito».
La Corte, infine, sulla scorta dei principi comunitari affermati in tema di appalto, non disconosce la legittimità di cessioni di rami aziendali cosiddetti dematerializzati o leggeri – intendendosi per tali quelli dove il fattore personale sia preponderante rispetto ai beni – rimettendo sempre al giudice di merito l'onere di verificare che il gruppo di lavoratori ceduti sia dotato di un «comune bagaglio di conoscenze, esperienze e capacità tecniche».

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