Contenzioso

Licenziamento collettivo: è irrilevante l’intenzione di licenziare secondo l’articolo 7 della legge 604/1966

di Marco Tesoro

L'avvio di molteplici procedure secondo l’articolo 7 della legge 604/1966, per le medesime motivazioni economiche, di per sé non rileva ai fini del calcolo del numero minimo di cinque recessi che impone l'apertura della procedura di licenziamento collettivo. È questo l'importante principio che emerge dalla sentenza della Corte di cassazione 15118/2021.

Il caso trae origine dal licenziamento per motivazioni economiche intimato a una lavoratrice, che ne contestava la legittimità per insussistenza della motivazione, nonché per omessa procedura di licenziamento collettivo prevista dall’articolo 24 della legge 223/1991, stante l'avvio da parte del datore, nei 120 giorni successivi al suo licenziamento, di numerose procedure dell’articolo 7 della legge 604/1966, fondate sulle medesime motivazioni. Il datore si costituiva in giudizio confermando la sussistenza della motivazione addotta e negando l'intimazione di ulteriori licenziamenti per motivazioni economiche, in quanto le sette procedure avviate si erano concluse tutte con accordi di risoluzione consensuale.

Il Tribunale di Udine rigettava il ricorso, mentre la Corte d'appello di Trieste, limitatamente alla censura sulla omessa procedura di licenziamento collettivo, accoglieva le domande della lavoratrice. La società proponeva ricorso per Cassazione, sostenendo che nei 120 giorni considerati non erano stati intimati licenziamenti economici, ma mere dichiarazioni di intenzione di licenziare secondo l’articolo 7 della legge 604/1966, come tali non equiparabili a "licenziamenti" nell'accezione della legge 223/1991.

La Corte di cassazione ha ritenuto fondati i motivi di ricorso proposti dalla società datrice di lavoro. L'espressione «intenda licenziare» secondo l’articolo 24 della legge 223/1991 rappresenta una chiara manifestazione della volontà di recesso, ancorché subordinata al previo esperimento della procedura collettiva stabilita dal legislatore. Diversamente, l'espressione «deve dichiarare l'intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo» dell’articolo 7 della legge 604/1966 «è imposta al fine di intraprendere la nuova procedura di compensazione (o conciliazione) dinanzi alla Dtl, e non può quindi ritenersi di per sé un licenziamento».

Di conseguenza, il licenziamento impugnato è legittimo in quanto il datore non aveva l'onere di avviare la procedura collettiva. Da questa pronuncia scaturisce un principio diametralmente opposto a quello stabilito dal ministero del Lavoro con la circolare 3/2013, secondo cui «nel caso in cui la Dtl si accorga che il datore ha chiesto più di 4 tentativi di conciliazione per i medesimi motivi deve ritenere non ammissibile la procedura, invitando il datore di lavoro ad attivare quella di riduzione collettiva di personale prevista dalla legge 223/1991».

Infine, in merito alla corretta interpretazione della nozione di "licenziamento" ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, comma 1, lettera a) della direttiva 98/59/Ce del Consiglio del 20 luglio 1998, la Corte conferma il superamento del precedente orientamento, facendovi rientrare tutte le ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro, anche se richieste dal lavoratore, ove conseguenti a una modifica sostanziale degli elementi del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore, stabilita unilateralmente dal datore a svantaggio del lavoratore (Cassazione 15401/2020).

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