Contenzioso

Licenziamento legittimo se la sindrome depressiva post infortunio è inesistente e si svolge altra attività lavorativa

di Enrico De Luca e Debhora Scarano

Con la sentenza 15465 del 3 giugno 2021 la Corte di cassazione, sezione lavoro, è tornata a pronunciarsi sulle peculiarità del licenziamento per giusta causa irrogato al dipendente che svolga altra attività lavorativa durante il congedo per malattia.

In particolare, è stato intimato un licenziamento disciplinare a un dipendente pubblico il quale, a seguito di infortunio, allegando attestazioni mediche relative a una presunta sindrome ansioso depressiva, otteneva un periodo di congedo per malattia durante il quale, tuttavia, veniva filmato da una agenzia investigativa mentre svolgeva attività lavorativa nell'esercizio commerciale della figlia, dimostrando con ciò di non essere affetto da alcun disturbo, né fisico né psichico.

A seguito dell'impugnazione del licenziamento, nel giudizio di primo grado era emerso che la prestazione eseguita presso tale esercizio non era occasionale ma continuativa e caratterizzata da un impegno non meno gravoso di quello richiesto per lo svolgimento delle proprie mansioni da impiegato d'ordine presso l'agenzia del Demanio. In grado di appello, inoltre, era risultato che le attestazioni mediche rilasciate in ordine all'esistenza e alla natura delle patologie che avevano colpito il dipendente successivamente all'infortunio non erano coerenti tra loro. La Corte d'appello, pertanto, riteneva che la sindrome ansioso depressiva non sussisteva e che, se anche latentemente esistente, non era collegabile all'infortunio.

Il Tribunale di primo grado e la Corte territoriale avevano così respinto il ricorso del dipendente avallando la tesi della legittimità del recesso datoriale. Il dipendente è dunque ricorso in Cassazione lamentando, anzitutto, che nel giudizio di merito non fosse emerso il carattere "non occasionale" dell'attività lavorativa contestatagli e che, in secondo luogo, fosse stata violata la previsione del Ccnl di categoria laddove prevedeva la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, fino a un massimo di 10 giorni, in caso di «svolgimento di altre attività durante lo stato di malattia o di infortunio, incompatibili e di pregiudizio per la guarigione».

Il dipendente, inoltre, avendo subito un processo penale per truffa nei confronti dell'agenzia del Demanio conclusosi, tuttavia, con una sentenza di assoluzione con la formula «perché il fatto non sussiste», lamentava l'efficacia di giudicato di tale decisione anche nel perimetro del giudizio civile.

La Suprema corte, esaminando il motivo di ricorso, lo ha ritenuto inammissibile poiché orientato a un diverso apprezzamento dei fatti e, dunque, a una valutazione di merito preclusa in sede di giudizio di legittimità. In particolare, la Cassazione ha ritenuto inammissibile la censura relativa alla violazione della previsione del Ccnl di categoria a fronte del fatto che la ratio decidendi sottesa alla sentenza impugnata non era fondata sullo svolgimento di altra attività lavorativa in costanza di malattia, bensì sull'inesistenza della denunciata inabilità; circostanza, quest'ultima, certamente non sanzionabile al pari della precedente – che, per l'appunto, presuppone la effettiva esistenza di uno stato di malattia o di infortunio - con la mera sospensione dal servizio.

Infine, non essendosi costituita parte civile l'agenzia del Demanio e, soprattutto, basandosi il contezioso civile su altra tipologia di prove, non avrebbe potuto acquisire efficacia di giudicato nel giudizio sul licenziamento la sentenza di assoluzione pronunciata in sede penale.

Alla luce di quanto sopra, la Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso confermando definitivamente la legittimità del licenziamento per giusta causa.

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