Contenzioso

Licenziamento, la Cassazione interviene sulla detraibilità dell’aliunde perceptum

di Marco Tesoro

Dall'ammontare del risarcimento del danno derivante da licenziamento illegittimo vanno detratti i compensi conseguiti dal lavoratore successivamente al licenziamento (cosiddetto aliunde perceptum).
Tuttavia, l'aliunde perceptum non è detraibile dal risarcimento del danno per licenziamento illegittimo se l'attività svolta tra il licenziamento e la reintegra sia compatibile con la prosecuzione contestuale della precedente attività lavorativa.
È questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 17051 del 16 giugno 2021.
Il caso trae origine dal licenziamento di un dipendente ritenuto illegittimo sia dal Tribunale, sia dalla Corte d'Appello, con sentenza confermata dalla Corte di legittimità, che cassava la parte della decisione sull'eccezione datoriale di aliunde perceptum.
Riassunto il giudizio, la Corte d'appello riteneva che la documentazione fornita dalla società ricorrente non dimostrasse lo svolgimento di attività lavorativa a carattere subordinato, nei confronti di una diversa società, da parte del lavoratore dopo il licenziamento.
Diversamente, dalla documentazione richiesta ex articolo 210 del Codice di procedura civile risultava che il lavoratore svolgesse attività extra-lavorativa a carattere autonomo e, soprattutto, che la svolgesse già prima del licenziamento.
Di conseguenza, la Corte territoriale desumeva la compatibilità tra l'attività extra-lavorativa e quella svolta nei confronti del datore di lavoro, rigettando quindi l'eccezione formulata in ordine all'aliunde perceptum.
La società ricorreva in Cassazione, rilevando che la decisione si basava su una circostanza nuova, lo svolgimento dell'attività extra-lavorativa già prima del licenziamento, lamentando altresì la violazione delle norme sul ragionamento presuntivo, legittimando così lo svolgimento di attività extra-lavorative in concorrenza con il datore di lavoro.
La Suprema Corte, analizzati i motivi, ha rigettato il ricorso.
Da un punto di vista processuale, gli Ermellini evidenziano come la riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio, a seguito di cassazione con rinvio della sentenza, instaura un processo chiuso dove «è inibita, quindi, alle parti la nuova attività istruttoria o assertiva che non dipenda strettamente dalle statuizioni della Suprema Corte».
Nel caso di specie, la Corte d'appello ha attivato i poteri ex articolo 210 del Codice di procedura civile proprio per verificare quanto posto dalla Corte di legittimità a fondamento della cassazione della sentenza – lo svolgimento di attività extra-lavorativa – non trattandosi quindi di nuove indagini, ma di approfondimenti proprio sulla questione principale alla base della sentenza della prima Corte d'appello.
Da un punto di vista sostanziale, gli Ermellini confermano la pronuncia della Corte d'appello. Poiché l'aliunde perceptum si riferisce ai compensi conseguiti dal lavoratore reimpiegando la capacità di lavoro non impegnata nell'attività cessata, questi non sono detraibili dal risarcimento se si dimostra che il lavoratore avrebbe potuto svolgere tali attività anche qualora non fosse stato licenziato.
Per la Corte «in tema di licenziamento individuale, il compenso per lavoro subordinato o autonomo – che il lavoratore percepisca durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di annullamento (cosiddetto periodo intermedio) – non comporta la riduzione corrispondente (sia pure limitatamente alla parte che eccede le cinque mensilità di retribuzione globale) del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, se – e nei limiti in cui – quel lavoro risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito di licenziamento, come nel caso ricorrente nella specie in cui il lavoro medesimo sia svolto, prima del licenziamento, congiuntamente alla prestazione che risulti sospesa (Cass. n. 6435/2005; Cass. n. 18837/2011)».
A tal proposito, l'accertamento dello svolgimento dell'attività extra-lavorativa già prima del licenziamento ha fornito inequivocabilmente la prova della compatibilità tra le due attività. La Suprema Corte, infatti, non ha ravvisato alcun vizio del ragionamento presuntivo, in quanto «nella prova per presunzioni, ai sensi degli articoli 2727 e 2729 del Codice civile, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che da quel fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull'id quod plerumque accidit».

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