Contenzioso

Auto aziendale: il mancato rispetto del Codice della strada esclude la responsabilità del datore

di Mario Gallo

Nello svolgimento del rapporto di lavoro è molto frequente l'utilizzo da parte del dipendente dell'auto aziendale; in molti casi tale uso è direttamente correlato alla mansione che svolge il lavoratore – è il caso, ad esempio, degli addetti alle consegne, alle manutenzioni, alla realizzazione d'impianti, eccetera – mentre in altri è solo occasionale.

Tuttavia, in entrambe le ipotesi trovano applicazione i principi generali di tutela e, in particolare, quelli degli articoli 32 e 41 della Costituzione, dell'articolo 2087 del Codice civile del Testo unico della sicurezza sul lavoro n. 81/2008, che impongono al datore di lavoro sia la valutazione dei rischi legati all'utilizzo del mezzo, in quanto attrezzatura di lavoro, sia l'adozione delle necessarie misure di prevenzione e protezione (come, ad esempio, la verifica del possesso della prescritta patente di guida, la formazione, la regolare manutenzione del mezzo, la revisione, il monitoraggio delle infrazioni commesse dai lavoratori durante la circolazione stradale, eccetera).

Ed è in questo perimetro che, invero, si colloca essenzialmente la responsabilità del datore di lavoro, restando esclusa, almeno sulla base della tecnologia attualmente esistente, la possibilità di un controllo immediato sulla guida del lavoratore, che deve attenersi alle prescrizioni imposte dal Codice della strada (Dlgs n. 285/1992).

Ultimamente proprio quest'ultimo profilo è finito sotto la lente d'ingrandimento della Cassazione Civile, che con la sentenza 27 agosto 2021, n. 23527 ha respinto il ricorso di un dipendente finalizzato al conseguimento della rendita e dell'indennità giornaliera per l'inabilità temporanea da parte dell'Inail, dovute per le lesioni da infortunio sul lavoro, a seguito di un incidente con l'auto aziendale.

Superamento dei limiti di velocità e assunzione di stupefacenti

Infatti, la Corte d'appello di Bologna, in accoglimento dell'appello dell'Inail e in riforma della pronuncia di primo grado, aveva già respinto il ricorso del lavoratore in quanto, sulla base dell'istruttoria svolta in primo grado e comprensiva, tra l'altro, di una c.t.u. tossicologica e di una c.t.u. cinematica, ha ritenuto che l'incidente stradale in cui il dipendente era stato coinvolto, mentre come accennato si trovava alla guida di un'auto aziendale, fosse riconducibile a rischio elettivo.

È stato accertato, infatti, che lo stesso aveva tenuto una condotta di guida in violazione dei limiti di velocità in quanto su quel tratto stradale mentre il limite è di 70 km/h il dipendente viaggiava a ben 104,435 km/h; peraltro dai controlli è anche emerso che lo stesso guidava in stato di alterazione da assunzione di sostanze stupefacenti (cocaina).

Rischio elettivo ed esclusione della responsabilità del datore di lavoro

Una condotta, quindi, in chiara violazione con gli obblighi posti dal Codice della strada e che, come accennato, è riconducibile al rischio elettivo, ossia a una condotta personalissima del lavoratore che risulta avulsa dall'esercizio della prestazione lavorativa o anche ad essa riconducibile, ma esercitata e intrapresa volontariamente in base a ragioni e motivazioni del tutto personali, al di fuori dell'attività lavorativa e prescindendo da essa e come tale, quindi, idonea a interrompere il nesso eziologico tra prestazione ed attività assicurata. Di conseguenza ciò esclude la responsabilità del datore di lavoro ( ) e, nel caso di specie, la Cassazione, nel ritenere inammissibile il ricorso, ha anche condannato il lavoratore al pagamento di 3.500 euro oltre ad altre spese processuali.

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