Contenzioso

Contratti collettivi: i capisaldi dell’interpretazione

L'interpretazione degli atti negoziali va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ratio del precetto contrattuale, nell'ambito non già di una priorità di uno dei due criteri ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi d'interpretazione, i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell'apprezzamento dell'atto negoziale

di Valeria Zeppilli

La questione di come interpretare le clausole dubbie dei contratti collettivi è annosa e spesso al centro dei dibattiti giurisprudenziali. La Corte di cassazione, tuttavia, è ormai ferma nell'individuare quali sono i capisaldi dell'interpretazione negoziale, ribaditi da ultimo in due pronunce dei giorni scorsi (sezione lavoro, 30 settembre 2022, numero 28549 e numero 28550).

Per i giudici di legittimità, gli elementi sui quali si deve basare l'attività ermeneutica relativa gli atti negoziali sono due e si integrano vicendevolmente: il senso letterale delle espressioni utilizzate dalle parti contraenti e la ratio che ispira il precetto contrattuale oggetto di interpretazione.I due parametri non vanno posti in rapporto "gerarchico", ma devono essere utilizzati dall'interprete parallelamente, secondo quello che viene definito dalla Corte come un "razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione" e andando ad apprezzare l'intero atto negoziale in una maniera che può definirsi armonica.

Per comprendere bene come i due criteri non possano che integrarsi vicendevolmente in un piano di parità, basti pensare al noto principio riconducibile al brocardo in claris non fit interpretatio e in base al quale l'interpretazione non ha luogo di fronte a questioni chiare. Orbene, per i giudici della Cassazione tale principio non può trovare applicazione se le parti negoziali hanno utilizzato delle espressioni letterali chiare, ma, nonostante ciò, non univocamente intellegibili.

Di fronte a una tale evenienza, la comune volontà dei contraenti non può che essere ricercata ricorrendo a tutti i criteri ermeneutici idonei a rivelarla e ciò, con particolare riferimento all'interpretazione dei contratti collettivi, vuol dire innanzitutto coordinare le diverse clausole contrattuali in forza di quanto disposto dall'articolo 1363 del codice civile, ovverosia attribuendo a ciascuna di esse il senso che risulta dal complesso dell'atto.In altre parole, per la Corte di cassazione sarebbe sbagliato limitarsi a indagare il senso letterale delle parole con riferimento a una parte soltanto della dichiarazione negoziale. Occorre piuttosto ricercare il senso complessivo del contratto collegando e confrontando tutte le frasi e le parole utilizzate e tenendo conto anche del comportamento successivo delle parti che lo hanno sottoscritto.Le due recenti pronunce di legittimità meritano di essere segnalate anche per un ulteriore passaggio, fondamentale ai fini di un corretto apprezzamento delle norme dei contratti collettivi.I giudici hanno infatti ribadito che, in caso di successione nel tempo dei contratti collettivi, le modifiche peggiorative per il lavoratore sono sempre valide e ammissibili, con il solo limite dei diritti quesiti.

Con la conseguenza che, al di fuori di tale limite, il lavoratore non può pretendere l'applicazione di una norma collettiva non più esistente, in quanto le disposizioni contrattuali non si incorporano nei contratti individuali ma rappresentano una fonte eteronoma di regolamento del rapporto lavorativo esterna e concorrente con quella individuale. Insomma, in questi casi non vale il criterio del trattamento più favorevole posto dall'articolo 2077 del codice civile, che interessa solo i rapporti tra contratto collettivo e contratto individuale e non quelli tra contratti collettivi precedenti e successivi.

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