Contrattazione

Nuove regole sulle mansioni assenti nei contratti collettivi

di Giuseppe Bulgarini d’Elci

Più di due anni sono passati dalla modifica della normativa interna sulla regolamentazione delle mansioni e sul potere datoriale di procedere alla loro variazione in funzione delle mutate esigenze aziendali.

Se prima delle modifiche all’articolo 2103 del codice civile, disposte dal decreto legge 81/2015, lo ius variandi era limitato al rispetto del principio di equivalenza delle nuove prestazioni rispetto alle attività di provenienza, oggi è unicamente richiesto che la variazione si muova nell’ambito di mansioni riconducibili al medesimo livello e categoria legale di inquadramento.

In questo rinnovato contesto, l’unica verifica cui il datore di lavoro deve accingersi risiede nella disamina delle declaratorie contrattuali collettive sul sistema di inquadramento del personale. Più analitica risulta l’enunciazione dei contratti collettivi con riguardo alle diverse mansioni, prestazioni e attività che ricadono nel singolo livello di inquadramento, maggiori sono gli spazi di manovra di cui dispone l’impresa.

È una novità dirompente, ma che non è stata sin qui raccolta dagli operatori del mercato del lavoro in quanto, al di là di mere enunciazioni di principio, i contratti collettivi nazionali continuano a essere ancorati a un modello di classificazione del tutto inadeguato rispetto alle potenzialità offerte dalla muova disciplina. Valga per tutti quanto prevede l’ipotesi di accordo del 26 novembre 2016 per il rinnovo del Ccnl metalmeccanici, in cui le parti sociali hanno istituito una apposita commissione paritetica di riforma del sistema di classificazione.

Non meno rilevanti sono le nuove disposizioni, anch’esse introdotte dal decreto legge 81/2015, sul legittimo demansionamento unilaterale in presenza di un effettivo mutamento degli assetti organizzativi aziendali, essendo stata prevista la possibilità, ricorrendo tali condizioni, di assegnare ai dipendenti mansioni proprie del livello di inquadramento immediatamente inferiore. A tale riguardo, il nuovo articolo 2103 del codice civile attribuisce ai contratti collettivi, incluso quelli aziendali, la possibilità di introdurre specifiche ipotesi che legittimano l’assegnazione di mansioni appartenenti al livello inferiore.

Ancora una volta dobbiamo registrare come le potenzialità offerte dalla nuova disciplina non siano state raccolte, risultando il panorama della contrattazione collettiva pressoché privo di una regolamentazione sullo ius variandi in peius. È sorprendente doverlo ammettere, ma in sede di contrattazione nazionale si devono registrare, al contrario, forti resistenze al cambiamento.

Ne è testimone, tra gli altri, il contratto collettivo Fca e Cnh Industrial del 7 luglio 2015, nel quale è stato previsto, con riferimento alle ipotesi di «spostamento da un’area professionale a quella immediatamente inferiore», che esse potranno avvenire esclusivamente in ossequio al «principio giurisprudenziale della compatibilità professionale». È una presa di distanza profonda rispetto al nuovo impianto normativo, perché si rimette al centro dell’analisi di legittimità quel principio di equivalenza che il legislatore aveva, invece, espunto dal rinnovato quadro regolatorio per rendere più agile l’esercizio del potere datoriale di modificare le mansioni dei dipendenti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©