Contrattazione

Ig Metall, intesa sulla settimana corta

di Isabella Bufacchi

Con una solida crescita oltre il 2%, terzo anno in surplus di bilancio, occupazione tecnicamente piena e il livello più basso di disoccupazione dalla riunificazione, la Germania è pronta a rivedere le regole e le remunerazioni del mercato del lavoro, a favore di una maggiore flessibilità - per i lavoratori ma anche per i datori di lavoro - e aumenti salariali. Prima con IG Metall, con l’arrivo della settimana corta compensata da una settimana più lunga, e poi, se tutto andrà bene, con l’attesa firma dell’accordo per la Grande Coalizione tra Cdu/Csu e Spd, contenente novità per frenare il part-time a favore dei contratti a tempo indeterminato.

Il primo passo nella direzione di una riforma importante del mercato del lavoro in Germania è arrivato ieri con l’intesa raggiunta dal potente sindacato dei metalmeccanici IG Metall nel Baden-Württemberg, la zona di Stoccarda. Un accordo pilota, che al momento riguarda 900mila lavoratori, ma che è previsto estendersi a tutta la base di IG Metall che rappresenta una forza lavoro attorno ai 3,9 milioni. E poi oltre. Nel dettaglio, il sindacato rivendica due vittorie: un aumento nominale dei salari del 4,3% per 27 mesi, fino al 31 marzo 2020 (contro il 6% richiesto) con due una tantum: 100 euro per coprire i mesi di gennaio e febbraio, che verranno pagati in aprile, e un premio annuale pari a 400 euro (parte fissa) più il 27,5% dello stipendio (parte variabile). Questo “bonus” decade però nel momento in cui l’azienda può provare di essere in difficoltà.

L’accordo del Baden-Württemberg spunta la settimana corta, anche se con una remunerazione più bassa (mentre le grandi vittorie del passato di IG Metall consistevano in meno ore di lavoro settimanali con lo stesso salario). L’accordo prevede che i lavoratori con due anni di anzianità possono optare per una settimana di 28 ore,contro le 35 attuali, per un periodo tra i sei mesi e i 24 mesi: potendo poi tornare al proprio lavoro a tempo pieno. Questa facoltà viene riconosciuta a chi ha bisogno di tempo libero da dedicare ai figli o alla cura delle persone anziane: a questo proposito, ai lavoratori viene anche consentito di optare a favore di 8 giorni di ferie, rinunciando a una parte dello stipendio. Anche i datori di lavoro hanno ottenuto in cambio di poter aumentare la quota di contratti con 40 ore settimanali sul totale della forza lavoro (attualmente bassa). Questa flessibilità consentirà alle aziende che hanno il problema della carenza di personale qualificato di poter integrare le ore perse nella settimana corta: la flessibilità dunque viene intesa nei due sensi, in un momento in cui il mercato del lavoro deve farsi carico da un lato dell’invecchiamento della popolazione (con un sistema sanitario che arranca per occuparsi degli anziani) e dall’altro lato dell’introduzione della tecnologia avanzata e della sostituzione dei lavoratori con le macchine. Proprio a questo proposito, l’aumento salariale negli Usa, la miccia che ha fatto esplodere la polveriera dei mercati, andrebbe valutato nel contesto di un mercato del lavoro che cambia per l’impatto della tecnologia.

Il mercato del lavoro ieri sera (al momento in cui il giornale è andato in stampa, ndr) risultava ancora uno degli ultimi nodi da sciogliere nella serrata trattativa tra Cdu/Csu e Spd. Il leader del partito socialdemocratico Martin Schulz è entrato nei negoziati con un mandato preciso: strappare un accordo che non consenta ai datori di lavoro di ricorrere ai contratti part-time quando non vi sono le condizioni adeguate per farlo: in altre parole, una maggiore garanzia per i contratti a tempo indeterminato, che in Germania valgono più dell’aumento salariale. Angela Merkel ha detto ieri di essere disponibile a fare «grandi concessioni»: ne ha bisogno l’Spd per ottenere il via libera dei suoi membri (attorno ai 450mila), che dovranno votare a favore dell’accordo (167 pagine) di Grande Coalizione. La base dell’Spd finora ha espresso forte scetticismo per una terza Grande coalizione con Cdu/Csu, un’alleanza additata tra le cause della peggiore sconfitta elettorale dal Dopoguerra incassata lo scorso settembre alle urne.

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