Contrattazione

Riforma contratti, spazio alla produttività

di Giorgio Pogliotti

Un modello contrattuale “aperto” che spinge alla crescita della produttività aziendale e, con essa, dei salari dei lavoratori. Il documento conclusivo di Confindustria e Cgil, Cisl e Uil, confermando gli attuali due livelli contrattuali (nazionale e aziendale o, in alternativa, territoriale) valorizza il ruolo del contratto nazionale e della contrattazione decentrata: il primo come fonte di regolazione dei rapporti di lavoro e garante dei trattamenti economici e normativi comuni ai lavoratori del settore, sull’intero territorio nazionale; la seconda, come luogo in cui si realizza l’incontro virtuoso tra salario e produttività.

Nel testo di 16 pagine - elaborato dai tecnici delle parti e oggetto martedì sera dell’incontro “politico” tra il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia e i leader di Cgil, Cisl e Uil, rispettivamente Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo - il Ccnl dovrà incentivare lo «sviluppo virtuoso» della contrattazione aziendale, orientando le intese tra le parti affinché riconoscano aumenti strettamente legati a obiettivi concordati di crescita della produttività, qualità, efficienza, redditività e innovazione aziendale. Con un’attenzione specifica alla valorizzazione dei processi di digitalizzazione e alle forme di partecipazione dei lavoratori.

Le parti riconoscono un ruolo importante alla contrattazione collettiva che può creare le condizioni per «migliorare il valore reale» delle retribuzioni e, nel contempo, «favorire la crescita del valore aggiunto e dei risultati aziendali», valorizzando le «competenze tecniche e organizzative dei lavoratori» contro il rischio di un appiattimento nelle politiche salariali. Viene individuato un trattamento economico complessivo (Tec), costituito dal trattamento economico minimo (Tem, i minimi tabellari) e da tutte quelle voci (dagli scatti di anzianità, all’Edr, all’elemento perequativo, al welfare sanitario o previdenziale) che il Ccnl considera comuni a tutti i lavoratori del settore. In sostanza le differenti esperienze negoziali delle categorie vengono sistematizzate dal documento conclusivo delle parti sociali. Alla luce di queste esperienze, il menù a disposizione delle parti nella negoziazione si è arricchito. Il contratto nazionale non si limita più a indicare i minimi tabellari ma ricomprende ormai altre voci: tra queste, il welfare entra a pieno titolo nel trattamento economico complessivo. Il contratto nazionale individuerà, dunque, i minimi tabellari per la vigenza contrattuale e la variazione avverrà, secondo le regole dei singoli Ccnl, in base agli scostamenti registrati dall’Ipca, l’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi Ue (depurato dei prezzi dei beni energetici importati), calcolato dall’Istat.

Si tratta, appunto, di un modello “aperto” che lascia alle categorie la decisione se distribuire gli aumenti ex post (come fanno i meccanici) o ex ante (come i chimici). Sempre in tema di autonomia e responsabilità delle parti, attraverso la contrattazione si potrà valorizzare nei diversi settori la partecipazione organizzativa, per contribuire alla competitività delle imprese e valorizzare il lavoro.

Il testo sarà sottoposto alla valutazione degli organismi dei sindacati e l’accordo sarà firmato, al termine di questa verifica, nel pomeriggio del 9 marzo (la mattina si terrà il direttivo della Cgil). Non sfuggirà il senso “politico” di questa iniziativa, perché in una stagione in cui sta tornando alla ribalta il salario minimo legale, le parti sociali con il documento condiviso sottolineano come il nuovo modello contrattuale, insieme alle nuove relazioni industriali, possano contribuire alla crescita della competitività e delle retribuzioni.

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