Contrattazione

Rider, la carta Bologna nasce già azzoppata. Firmano solo 2 società

di Cristina Casadei

Da qualunque parte la si guardi, ieri, per Bologna è stata una giornata storica. Dopo mesi di confronti e trattative, la città è diventata il palcoscenico della Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale. Il rilievo del papello sarà sicuramente nazionale. E non solo. È il primo caso in Italia - il comune di Bologna sostiene anche in Europa - ma questo non stupisce perché la prima protesta dei riders è stata proprio in questa città durante la nevicata natalizia che ha reso pericolose e scivolose le vie, ed è la prima volta che una città si mette alla testa di un’iniziativa che riguarda tutele e diritti del lavoro.

A firmarla Riders union, il Comune di Bologna, i sindacati e alcune piattaforme del food delivery. Ci sono Sgnam e Mymenu, due società italiane che a Bologna contano oltre 200 riders su 500 complessivi che si muovono in città, ma mancano all’appello le grandi multinazionali, da Deliveroo a Foodora a Glovo. Diverse le motivazioni, ma a prevalere c’è l’impatto sui costi che la carta ha e la richiesta di una carta che sia nazionale e uguale ovunque.

Per i riders, al di là delle mancate firme delle multinazionali che hanno comunque partecipato ai tavoli e su cui continuerà l’opera di sensibilizzazione, è un grande risultato. «Quest’inverno abbiamo interrogato collettivamente e con forza le istituzioni e la città tutta, portando in primo piano la nostra condizione lavorativa e di vita e quelle che erano le nostre esigenze ed aspirazioni», racconta Tommaso Falchi di Riders Union.

La Carta rappresenta a tutti gli effetti un accordo territoriale e impegna le piattaforme che la hanno sottoscritta a riconoscere salario, orario equo in linea con i contratti collettivi nazionali di riferimento, maggiorazioni per lavoro svolto in condizioni particolari (come festivi, notturno o col maltempo) e sospensione del servizio in condizioni d’impraticabilità ambientale, certezza di un monte orario, tutela di salute e sicurezza, prevenzione dei rischi e copertura assicurativa a carico delle piattaforme, il diritto di sciopero e quello all’organizzazione collettiva dei rider, compresa la possibilità di svolgere assemblee retribuite dall’azienda.

Ogni piattaforma poi declinerà la Carta in base alle sue specificità, adeguando le condizioni contrattuali e lavorative agli impegni presi. Concordandole con i riders. Da ieri si è quindi ufficialmente aperta l’era della rappresentanza anche tra i riders che non si riconoscono nei sindacati confederali, pure invitati al tavolo e a firmare la carta. E della contrattazione anche per le piattaforme, che si dovranno confrontare con le forme organizzate dei e delle riders.

«È il primo accordo in Europa sul tema della Gig economy che trova un’applicazione sperimentale sul delivery food - spiega l’assessore al Lavoro e Attività produttive di Bologna -. La Carta intende promuovere la crescita delle piattaforme digitali senza abbassare le tutele dei lavoratori e sono convinto possa essere un tassello utile per promuovere una nuova cultura del lavoro digitale in Italia e in Europa». Ci sarà da parte della città una forte sensibilizzazione sui consumatori a utilizzare le piattaforme che hanno sottoscritto la carta e che si fanno garanti di condizioni di sostenibilità del lavoro dei riders.

È un passo importante che ha attirato l’attenzione di tutte le città. In primis Milano che ha la concentrazione più alta di riders e che la scorsa settimana ha conosciuto il primo sciopero della “categoria” indetto dalla Filt Cgil. L’assessore alle Politiche per il lavoro, attività produttive e commercio, Cristina Tajani, presente alla firma dell’accordo insieme al sindacato di Bologna, Virginio Merola, ha lanciato l’appello a creare un tavolo di confronto nazionale, all’Anci, che affronti e governi i temi e le questioni legati alla consegna a domicilio ormai praticata in tutte le principali città italiane. «L’adesione di Bologna all’appello del Comune di Milano – dice Tajani – è il primo passo verso una collaborazione che auspichiamo più ampia con le principali città coinvolte da questo fenomeno, come Torino, Firenze e Roma, poiché ci troviamo di fronte ad una realtà ancora poco normata. Auspichiamo che il trasporto del cibo e delle merci al dettaglio in città avvenga sempre di più con mezzi green, ma chi transita per le strade, in particolare se lo fa per lavoro e in maniera intensiva, deve rientrare in un pensiero condiviso di città, di sviluppo e di sicurezza».

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