Contrattazione

Contratti di prossimità solo con finalità chiare

di Marcello Floris

Il contratto di prossimità è promosso dai giudici quando le deroghe alla normativa generale sono stabilite per finalità chiare, fondate e in linea con la normativa che regola questo istituto (articolo 8 del Dl 138/2011). Questo tipo di accordo collettivo aziendale che può derogare - a certe condizioni e su specifiche materie - alle norme di legge, è stato esaminato dalla giurisprudenza solo raramente.

Servono finalità chiare

Una delle sentenze più recenti che si è occupata di un contratto in deroga è la 528 del 4 giugno 2019 del Tribunale di Firenze. In questo caso, il giudice ha ritenuto che il contratto di prossimità non avesse i requisiti richiesti dalla legge. Un lavoratore era stato inquadrato in un livello inferiore rispetto a quello corrispondente alle proprie mansioni in forza di un contratto di prossimità sottoscritto dal datore con le rappresentanze sindacali. I giudici hanno precisato che, nel caso specifico, era del tutto assente una delle finalità del contratto previste dall’articolo 8 del Dl 138/2011.

Il meccanismo di sottoinquadramento dei lavoratori neoassunti, infatti, era stato solo formalmente collegato all’obiettivo della maggiore occupazione, limitandosi le parti a richiamare la previsione normativa, ma senza alcun effettivo intervento concreto. Conseguentemente, il Tribunale ha dichiarato l’illegittimità del contratto di prossimità, per mancato rispetto delle condizioni di stipula previste dal Dl 138/2011. È necessario, infatti, che i contraenti indichino in maniera puntuale le finalità perseguite e le circostanze di fatto che giustificano il ricorso al regime derogatorio.

Le intese in contesti di difficoltà

La Corte di cassazione si è occupata del contratto di prossimità nella sentenza 19660 del 22 luglio 2019, sul licenziamento intimato a un lavoratore nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo. In questo caso, la validità del recesso è stata confermata ed è stata anche respinta la domanda di condanna del datore al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, espressamente esclusa da accordi collettivi intervenuti nel 2012.

La Corte ha puntualizzato infatti che le parti collettive avevano disciplinato le modalità di accesso all’esodo volontario, cui sarebbe poi seguita la procedura di licenziamento collettivo e avevano altresì stabilito che l’azienda non avrebbe riconosciuto alcun trattamento sostitutivo a titolo di mancato preavviso. L’accordo, adottato in base all’articolo 8 del Dl 138/2011, poteva legittimamente derogare e incidere sulle conseguenze del recesso, introducendo una disciplina differente da quella normalmente applicabile, proprio con la finalità di far fronte a una situazione nota di crisi aziendale. Ciò nel contesto di un bilanciamento dei contrapposti interessi, per ridurre l’impatto della situazione di esubero.

Un’altra decisione a favore del contratto in deroga esaminato e delle sue ragioni era stata resa dal Tribunale di Roma il 25 maggio 2017. La ricorrente aveva impugnato la riduzione della retribuzione mensile operata dalla sua società, che aveva sottoscritto con il Comitato di redazione un accordo in questo senso. La ricorrente aveva manifestato alla società la volontà di non aderire all’accordo e aveva invocato l’articolo 36 della Costituzione e l’articolo 2013 del Codice civile per sostenere l’inderogabilità dei diritti retributivi acquisiti tramite contratto aziendale. Queste argomentazioni sono state respinte dal Tribunale, che ha anche ritenuto irrilevante la revoca da parte della ricorrente dell’adesione al sindacato stipulante.

L’accordo aziendale in esame prevedeva infatti l’assunzione con contratto a tempo indeterminato del personale giornalistico assunto a tempo determinato e dei giornalisti che avevano un contratto di lavoro autonomo. Pertanto, secondo i giudici, non poteva esserci alcun dubbio sulla finalità di incremento dell’occupazione perseguita dall’accordo stesso. L’ipotesi di accordo era inoltre stata inoltre approvata dall’assemblea dei lavoratori a maggioranza.

Il ruolo del Ccnl

Nella sentenza 29423 del 2019, la Cassazione ha precisato i limiti di deroga della contrattazione collettiva rispetto alla normativa generale, stabilendo in particolare che un accordo collettivo non può vietare l’uso del lavoro intermittente.

Un dipendente aveva chiesto la declaratoria di illegittimità di un contratto di lavoro intermittente in corso con l’azienda perché il Ccnl applicato escludeva l’utilizzo di questo tipo di contratto. La Corte ha precisato che la legge demanda alla contrattazione collettiva l’individuazione delle esigenze per le quali è ammesso il contratto intermittente ma senza conferire alle parti sociali il potere di interdire l’uso di questo strumento contrattuale.

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