Contrattazione

Rider come autonomi, non può dirlo il Ccnl

di Angelo Zambelli

Il 16 settembre ha visto la luce il primo contratto collettivo nazionale per la disciplina dell’attività di consegna di beni per conto altrui svolta dai rider, siglato da Assodelivery (associazione sindacale che rappresenta le principali aziende del settore) e Ugl rider (sindacato al cui interno è confluita Anar, Associazione nazionale autonoma dei riders).

Tra le previsioni di maggior rilevo (e più discusse) vi sono senz’altro quella che qualifica gli accordi tra piattaforme e rider come autonomi, escludendo dunque l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, e quella che disciplina il compenso prevedendo uno standard retributivo minimo orario, ferma restando, in linea generale, la parametrazione dello stesso in base al numero di consegne effettuate.

La sottoscrizione del contratto avrebbe dovuto essere la tappa finale di un percorso avviato nel 2018, a seguito della sentenza del Tribunale di Torino sul cosiddetto caso Foodora (poi riformata dalla Corte d’appello e dalla Cassazione) che per la prima volta si era pronunciata in merito all’inquadramento giuridico del rapporto di lavoro dei ciclo-fattorini, e proseguito con il decreto legge 101/2019, recante la prima disciplina normativa del lavoro prestato mediante piattaforme digitali.

In particolare, il decreto demanda ai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi a livello nazionale la determinazione del compenso complessivo, precisando tuttavia che, in difetto della stipula di tali contratti, la retribuzione non può avvenire a cottimo e che ai lavoratori deve essere garantito un compenso minimo orario parametrato al minimo tabellare previsto dai contratti collettivi di settori affini o equivalenti.

Per fare in modo che le parti sociali avessero il tempo di negoziare e sottoscrivere uno (o più) contratti collettivi, è stata prevista l’applicazione della norma decorsi 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto e quindi il 2 novembre 2020.

Tuttavia nei mesi è emersa una netta divergenza di vedute tra Assodelivery e Cgil, Cisl e Uil, le quali hanno posto come condizione imprescindibile della trattativa che il rapporto di lavoro dei rider fosse qualificato come subordinato e che venisse disciplinato dal contratto collettivo della logistica.

È per tale ragione che, considerato l’approssimarsi della scadenza del 2 novembre, Assodelivery ha siglato il contratto collettivo soltanto con Ugl rider, con ciò non solo scatenando aspre reazioni da parte delle confederazioni maggiori, che lo hanno da subito stigmatizzato ritenendolo un contratto collettivo cosiddetto pirata e sollecitato un’immediata presa di posizione da parte del ministero del Lavoro.

Con messaggio del 17 settembre, l’ufficio legislativo ministeriale ha rilevato come il contratto collettivo appena sottoscritto non sembrerebbe idoneo a derogare, per quanto attiene agli aspetti economici, al divieto di cottimo e ai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi dei settori affini, difettando della necessaria rappresentatività (comparativa) in capo a entrambe le organizzazioni sindacali stipulanti imposta dalla norma prossima ad entrare in vigore.

Il ministero ha, inoltre, rilevato come il contratto contenga un’illegittima qualificazione della natura giuridica del rapporto di lavoro dei rider (definiti come autonomi), ricordando come l’individuazione della tipologia contrattuale applicabile al rapporto di lavoro sia materia di esclusiva competenza della magistratura e, come tale, sottratta all’autonomia delle parti.Vero è, di contro, che anche la condizione posta come imprescindibile dai sindacati non firmatari (la definizione dei ciclofattorini come subordinati) si pone sullo stesso piano.

Non resta che attendere gli sviluppi di questa delicata vicenda, auspicando che il Governo intervenga in tempi rapidi per favorire una costruttiva collaborazione tra le parti sociali, invitandole a mettere da parte inattuali questioni ideologiche e a porre al centro della discussione l’ormai imprescindibile necessità di trovare un punto d’incontro tra le esigenze imprenditoriali delle aziende del settore e la tutela dei diritti dei lavoratori, entrambe più che comprensibili e degne di considerazione.

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