Contrattazione

Con il protocollo contro il caporalato tutela per i rider autonomi

di Arturo Maresca e Daniele Piva

In questi giorni il lavoro dei rider è stato interessato da due accordi importanti. Il primo - del 24 marzo firmato dal ministro del Lavoro, Assodelivery, Cgil, Cisl e Uil - ha dato vita al Protocollo sperimentale per la legalità contro il caporalato, l’intermediazione illecita e lo sfruttamento lavorativo del settore del food delivery. Con il secondo - sottoscritto il 29 marzo da una società del Gruppo Just Eat, con Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uil Trasporti, Nidil-Cgil, Felsa-Cisl e Uiltemp - si è applicata ai rider la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Tra i due accordi non c’è, come potrebbe sembrare a prima vista, alcuna contraddizione, in quanto muovono dal principio, più volte affermato dalla giurisprudenza della Cassazione, per cui «ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, a seconda delle modalità del suo svolgimento» scelte dalle parti che possono liberamente organizzare il lavoro (anche) dei rider in forma autonoma, etero-organizzata, coordinata o subordinata, sempre che l’esecuzione della prestazione sia conforme ai diversi tipi contrattuali.

Prendendo in esame il Protocollo sperimentale del 24 marzo - per l’altro accordo si rinvia al Sole del 30 marzo – se ne deve riconoscere il significativo rilievo sotto diversi profili. In primo luogo per il tema specifico che viene affrontato, quello della legalità nell’utilizzo del lavoro in un settore – quello del food delivery - in grande sviluppo (anche al netto di quello generato dalla pandemia) che da sempre utilizza in modo intensivo forme di lavoro non standardizzate e flessibili; un settore che, proprio per queste caratteristiche, è al centro dell’attenzione del diritto del lavoro che a ogni livello (dal legislatore, alla giurisprudenza, alle istituzioni pubbliche del lavoro, Inps, Inail, Inl, agli studiosi e ai professionisti, avvocati e consulenti del lavoro) si occupa e preoccupa dei rider che ormai sono diventati una figura social-tipica di lavoratore.

I nodi problematici riguardano temi tradizionali - la distinzione tra lavoro subordinato e autonomo - che si intrecciano con nuove problematiche, quelle del lavoro tramite piattaforme digitali. Il legislatore è ripetutamente intervenuto in materia (nel 2015, nel 2017 e, infine, nel 2019, in quest’ultimo caso anche con specifico riferimento al lavoro tramite piattaforme) senza riuscire a dare una soluzione adeguata ai problemi relativi non solo alla qualificazione del lavoro dei rider ma anche alle tutele appropriate e alla predisposizione di strumenti efficaci per la prevenzione di abusi.

Il secondo profilo di interesse riguarda l’importanza, in una prospettiva generale, delle tecniche di tutela che agiscono in prevenzione e non già in via rimediale o di riparazione, quando la persona che lavora ha già subito un vulnus. Il Protocollo si muove in questa direzione prescrivendo alle imprese di adottare i modelli di organizzazione, gestione e controllo previsti dal Dlgs 231/2001 e un Codice etico finalizzati a «prevenire, rilevare e sanzionare condotte devianti e in particolare disfunzioni di illegalità aziendale ricollegabili alle fattispecie di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’articolo 603-bis del Codice penale» (già incluso tra i reati-presupposto all’articolo 25-quinquies del Dlgs 231/2001).

Ma non è solo questo il punto rilevante, in quanto i modelli organizzativi e il Codice etico devono essere «oggetto di informativa alle Parti sindacali firmatarie» del Protocollo le quali, peraltro, divengono destinatarie di eventuali segnalazioni di condotte anomale o comunque potenzialmente illegali. Quindi la tecnica di tutela preventiva viene valorizzata associandola alla «costruzione di un quadro di relazioni industriali finalizzato a promuovere lo sviluppo del settore nel pieno rispetto dei diritti dei lavoratori».

Altrettanto accentrato risulta, infine, il sistema dei controlli attesa l’istituzione di un organismo nazionale di garanzia, composto da rappresentanti designati tra i componenti degli organismi di vigilanza delle singole società aderenti, cui, tra l’altro, spetta il compito di definire trimestralmente, in apposito documento tecnico, soglie di “allarme” oltre le quali attivare ogni utile approfondimento e azione conseguente, inclusa la segnalazione alla competente Procura della Repubblica, riferendo alle parti del Protocollo riunite al tavolo di governance e monitoraggio a cadenza semestrale.

Il Protocollo condiviso tra ministro del Lavoro, Cgil, Cisl, Uil e Assodelivery assume, quindi, una duplice valenza in quanto, da una parte, legittima le attuali forme di lavoro autonomo in uso per i rider e, dall’altra, fornisce al settore food delivery strumenti (i modelli organizzativi, i codici etici) e un sistema di relazioni sindacali ad hoc che qualifica, sul piano reputazionale e dell’effettiva tutela, il lavoro dei rider. Un percorso che, per alcuni versi, ricorda quello già realizzato nel settore della somministrazione di lavoro con risultati positivi che hanno consentito di superare le iniziali e forti diffidenze e resistenze assimilando il lavoro intermediato da un’agenzia a quello standard. In conclusione, il Protocollo consente di attribuire piena e condivisa cittadinanza alle forme di collaborazione autonoma dei rider che vanno doverosamente tutelate come prescrive l’articolo 35 della Costituzione, senza però dover cedere a pulsioni che spingono invece per ricondurle nell’ambito della subordinazione, come se questa fosse l’unica opzione per approdare a una protezione.

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