Contrattazione

Contratti a termine, si fa strada il limite di 24 mesi

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Verso l’addio del lavoro a chiamata. Potrebbe essere sostituito da un ricorso più esteso ai voucher (per prestazioni discontinue e occasionali) e dal rafforzamento del part-time verticale (per prestazioni a tempo pieno per periodi di tempo predeterminati).

È questa una delle novità che i tecnici di Palazzo Chigi e del ministero del Lavoro stanno valutando in vista dell’emanazione del Dlgs sul riordino delle tipologie contrattuali, annunciato dal governo per il consiglio dei ministri del 20 febbraio. Il provvedimento dovrebbe contenere anche la cancellazione delle associazioni in partecipazione, assieme a una graduale superamento delle collaborazioni a progetto, una rivisitazione della normativa sulle collaborazioni coordinate e continuative e un forte intervento di semplificazione dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale (1° livello) e per l’alta formazione (3° livello). Un’altra novità potrebbe interessare i contratti a termine: si sta ragionando sulla riduzione della durata complessiva da 36 a 24 mesi, ferma restando la possibilità per il datore di lavoro di ricorrervi senza indicare le causali. Anche ieri si è svolta una riunione tecnica su questi temi, ed altri incontri sono in programma tra oggi e domani per valutare la fattibilità delle proposte che dividono la maggioranza. Questa impostazione generale piace al Pd: «Vogliamo contenere i rapporti di lavoro parasubordinato - spiega il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei - lasciando il lavoro subordinato che è stabile e quello realmente autonomo che va tutelato di più». Contrari i centristi dell’area popolare e di Scelta civica che giudicano queste soluzionin in linea con gli errori della legge Fornero.

Nello specifico l’ipotesi di intervenire sul contratto a tempo determinato, dopo la liberalizzazione del decreto Poletti del maggio scorso, è sostenuta da una parte del Pd: «La durata di tre anni dovrebbe essere ridotta - aggiunge Taddei - i rapporti a termine sono giustificati da esigenze produttive, ma non possono configurarsi come periodi di prova allungati; in quel caso c’è il contratto a tutele crescenti, con i vantaggi per il datore di lavoro in termini economici e di maggiore flessibilità». Tuttavia su questo punto il ministero del Lavoro è cauto: «Stiamo facendo un lavoro di cesello - spiega il sottosegretario Teresa Bellanova - va fatta una riflessione molto attenta per evitare di creare distorsioni di discipline, invece che semplificazioni».

Quanto ai primi due Dlgs attuativi del Jobs act,in commissione lavoro del Senato il presidente Maurizio Sacconi (Ap) punta a chiudere oggi la discussione generale per votare la prossima settimana il parere sul contratto a tutele crescenti, mentre sulla nuova Aspi si attende il via libera della conferenza Stato Regioni. Dalla Camera, invece, il parere è atteso tra l’11 e il 12 febbraio, ultimo giorno utile.

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