Contrattazione

Articolo 18, la Consulta boccia il quesito

di Donatella Stasio

Due su tre. A non passare il vaglio della Corte costituzionale è il primo dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil, quello sull’articolo 18, diretto a ripristinare la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo e ad estendere questa tutela ai dipendenti di aziende con più di 5 addetti. Semaforo verde, invece, per gli altri due, sulla cancellazione dei voucher e sulla responsabilità solidale di committente e appaltatore, sui quali si andrà a votare in una domenica compresa tra il 15 aprile e il 15 giugno, a meno che il Parlamento approvi una legge che va nella stessa direzione dei quesiti oppure venga sciolto anticipatamente: nel primo caso, il referendum sarebbe superato, nel secondo, sarebbe rinviato di un anno.

Le tre sentenze della Consulta saranno depositate nelle prossime settimane (il termine massimo è il 10 febbraio) ma a motivare il «no» al quesito sull’articolo 18 non sarà la relatrice Silvana Sciarra - giuslavorista e allieva di Gino Giugni, eletta dal Parlamento in quota Pd - bensì il vicepresidente Giorgio Lattanzi: un passo indietro inevitabile, quello di Sciarra, in coerenza con la sua posizione favorevole all’ammissibilità, sulla base di numerosi precedenti giurisprudenziali, che però è rimasta in minoranza. La bocciatura del quesito è stata «di stretta misura», fanno sapere da Palazzo della Consulta, quindi 7 a 6 (qualcuno dice 8 a 5) visto che il collegio era incompleto per indisposizione fisica di Alessandro Criscuolo e per le dimissioni di Giuseppe Frigo (proprio ieri il Parlamento si è riunito in seduta comune per eleggere un sostituto, ma è finita con una fumata nera).

Solo leggendo le motivazioni si conoscerà il ragionamento che ha portato alla bocciatura del referendum più delicato politicamente per le sue possibili ricadute sulla legislatura, e sul quale, nel giorni scorsi, la Corte è stata oggetto di svariate pressioni, pro e contro l’ammissibilità. Stando alle indiscrezioni trapelate, non sarà una sentenza semplice da scrivere, soprattutto se si cercherà di mantenerla nel solco dei precedenti giurisprudenziali, l’ultimo dei quali (sentenza n. 41 del 2003) sembrava confermare l’ammissibilità di quesiti manipolativi, entro certi limiti. Una manipolatività che, evidentemente, ieri la Corte ha ritenuto “non sostenibile” con riferimento al quesito sull’articolo 18 in quanto, mediante la tecnica del ritaglio di singole parole, si introdurrebbe di fatto una disciplina «completamente diversa» e «creata ad arte dai proponenti» (sentenza n. 36 del 1997), trasformando in “propositivo” il quesito, come tale inammissibile. Insomma, non si tratterebbe di una semplice estensione, o del riadattamento di una norma vigente nel sistema (quella che prevede la tutela reale nelle aziende con più di 5 dipendenti) ma di una vera e propria trasformazione della disciplina vigente.

Peraltro, non sarebbe questo l’unico motivo della bocciatura. Il quesito, infatti, non è stato ritenuto omogeneo ed univoco - requisiti indispensabili per la sua ammissibilità - in quanto non sorretto da una «matrice unitaria razionale». Che è poi la tesi sostenuta dall’Avvocatura dello Stato, in rappresentanza del governo, anche nel corso dell’udienza di ieri. Tesi che la Consulta, a quanto pare, ha condiviso.

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