Contrattazione

Età, intese, mansioni: tre verifiche per usare il lavoro a chiamata

di Alberto Bosco e Josef Tschöll

Via libera al lavoro a chiamata per gli addetti agli stabilimenti balneari e per gli interpreti che lavorano negli alberghi. Stop invece per gli addetti ai call center e per i traduttori delle scuole di lingua.

In attesa dell’applicazione delle nuove regole per le prestazioni occasionali (introdotte nel Dl 50/2017, convertito dalla legge 96/2017, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 23 giugno), è bene riconsiderare i limiti posti al lavoro a chiamata (disciplinato dagli articoli 13-18 del Dlgs 81/2015), che può costituire una formula contrattuale alternativa per le prestazioni di breve durata (si veda anche Il Sole 24 Ore del 15 maggio).

I casi di esclusione

In generale, il lavoro a chiamata è vietato:

• per sostituire i lavoratori in sciopero;

• in unità produttive (non l’intera azienda) in cui ci siano stati, nei sei mesi precedenti, licenziamenti collettivi in base alla legge 223/1991, per addetti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;

• in unità produttive in cui sono in corso una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, per lavoratori addetti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;

• ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi.

I contratti (anche aziendali)

Per capire se può ricorrere al lavoro a chiamata, il datore di lavoro deve fare due verifiche: la prima riguarda l’età del lavoratore. Il contratto di lavoro intermittente può essere infatti concluso con soggetti sotto 24 anni di età - purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno - e sopra i 55 anni.

In assenza del requisito soggettivo, ad esempio per un lavoratore di 38 anni, bisogna verificare se il contratto collettivo nazionale, territoriale o aziendale disciplina questo istituto.

Altrimenti, come stabilisce il decreto del ministero del Lavoro del 23 ottobre 2004, si deve fare riferimento alle tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 2657 del 6 dicembre 1923. Nella risposta all’interpello 10 del 21 marzo 2016, il ministero ha infatti chiarito che il decreto, seppur emanato in forza della normativa precedente il Codice dei contratti, è da considerare ancora in vigore (il Codice dei contratti prevede in realtà all’articolo 13 che un nuovo decreto ministeriale individui i casi di utilizzo del lavoro intermittente in mancanza di un contratto collettivo di riferimento).

Il Regio decreto, emanato quasi 100 anni fa, individua nella tabella allegata le occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia. Il problema pratico, di grande rilevanza per i datori, è che, dato il mancato aggiornamento della norma, molte delle attività attuali non sono contemplate, o anche se assimilabili a quelle indicate dalla tabella, sono definite oggi in maniera diversa. Laddove la definizione ufficiale non sia esattamente coincidente con l’attività odierna, è necessaria dunque un’opera di interpretazione, affidata alle risposte a interpello fornite dal ministero del Lavoro (nel grafico a lato, riportiamo alcune delle risposte relative ad attività frequenti).

Un esempio di questa verifica è quello del «commesso di negozio» (n. 14 della tabella): Confindustria ha chiesto al ministero, se, in assenza di specifiche previsioni contrattuali, la figura di «addetto alle vendite» sia assimilabile a quella di «commesso». Il ministero ha precisato che il commesso, è un dipendente adibito alla vendita dei prodotti, con mansioni che possono variare in base al tipo e alle dimensioni del negozio, e che l’addetto alle vendite è un dipendente assegnato espressamente a mansioni di vendita, che si esplica nell’assistenza ai clienti per aiutarli e stimolarli all’acquisto, con una consulenza sui prodotti, provvedendo anche alla sistemazione degli scaffali e alla verifica delle giacenze. In definitiva, le due figure sono equiparabili, perché l’addetto alle vendite rientra nella più ampia definizione di «commesso di negozio», declinata nel Rd 2657/1923.

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