Contrattazione

Soluzione non legata solo a criteri quantititavi

di Maria Carla De Cesari

Dal 2003 il legislatore si è esercitato a disciplinare il lavoro accessorio occasionale, passando da una regolamentazione delimitata ad alcuni ambiti di attività o a lavoratori con particolari caratteristiche soggettive a una incentrata sul compenso entro un massimale. L’aumento esponenziale del ricorso ai voucher ha portato, per scongiurare il referendum promosso dalla Cgil, all’abolizione del lavoro accessorio con il Dl 25/2017. Una decisione draconiana che ha evitato di esercitarsi con la realtà del mondo del lavoro, fatto di bisogni di servizi occasionali da parte di famiglie e imprese. Non si tratta di confondere il lavoro e, per esempio, di sfuggire all’inquadramento del rapporto subordinato per quelle relazioni stabili caratterizzate dalla dipendenza. Si tratta, però, di prendere atto che tra le mura domestiche o nell’ambito dell’impresa ci sono tante occasioni di lavoro “puntuali” generate da esigenze saltuarie e fuori dal cuore dell’attività aziendale.

Il pressing di famiglie («Come pagare, dopo la fine dei voucher, la prestazione di qualche ora per la manutenzione del giardino? Come evitare il nero per chi aiuta una volta al mese a pulire i vetri?») e del mondo produttivo ha portato alla nuova regolamentazione con il decreto legge 50/2017.

L’articolo 54 bis stabilisce che il lavoro occasionale è possibile con una serie di limiti quantitativi: per esempio, 5mila euro per ciascun utilizzatore; 5mila euro per ciascun prestatore tenendo conto di tutti i committenti; 2.500 euro per prestatore rispetto a un unico committente e, per le imprese, il limite di cinque dipendenti. È poi escluso che un’impresa possa richiedere lavoro occasionale a un lavoratore che sia stato suo dipendente o collaboratore da meno di sei mesi. Per le imprese agricole, che – chiarisce la circolare Inps – non possono, come tutte le imprese, superare i cinque dipendenti per l’utilizzo del lavoro occasionale c’è poi un ulteriore limite nella platea di quanti possono essere coinvolti: studenti, pensionati, disoccupati.

Tutti paletti che, insieme con la tracciabilità informatica attraverso l’Inps, dovrebbero scongiurare un ricorso elusivo al nuovo lavoro occasionale. Tutto questo è un bene, perché il ricorso al lavoro occasionale a fronte, invece, di rapporti di lavoro stabili costituisce concorrenza sleale. Resta però ineludibile la necessità di far funzionare, per le prestazioni occasionali, una regolamentazione che tenga conto della specificità. Va tenuto presente che con l’abbandono della definizione del lavoro accessorio attraverso il limite ai compensi, si torna – a tutti gli effetti – alla responsabilità del datore di lavoro di “provare”, in caso di contestazione, l’occasionalità, pena la sanzione della trasformazione del rapporto in lavoro subordinato.

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