Contrattazione

La discontinuità esclude la cessione d’azienda

di Giampiero Falasca

Il contratto di appalto di servizi è uno strumento essenziale per qualsiasi economia moderna, in quanto consente alle imprese di specializzarsi sul proprio core business, acquistando sul mercato tutti gli altri servizi accessori.

Tuttavia l’appalto è soggetto una regime normativo di “libertà vigilata”, che si traduce in un pacchetto di misure accomunate dalla finalità di rafforzare le garanzie per i lavoratori impiegati nel servizio. Una finalità legittima che, tuttavia, a volte sfocia in veri e propri paradossi. Si pensi agli effetti della norma (rafforzata dal Dl 17/2017) che addossa al committente la responsabilità solidale per le eventuali inadempienze dell’appaltatore nei confronti dei dipendenti. Il committente viene chiamato a rispondere per fatti di cui potrebbe non avere alcuna conoscenza o responsabilità, e non ha strumenti per prevenire eventuali condotte illecite. Sarebbe utile ripristinare la filosofia del decreto Bersani del 2006, che permetteva di cancellare la responsabilità solidale ai committenti virtuosi.

Un altro campo dove l’esigenza di tutelare i dipendenti è molto sentita è quello dei cambi appalto. La legge Biagi aveva chiarito che in queste ipotesi non si applicano le regole sul trasferimento di azienda, neanche se il nuovo appaltatore assume il personale utilizzato dal suo predecessore. Questa regola è stata messa in discussione dall’ordinamento comunitario e il legislatore nazionale, con la modifica approvata lo scorso anno all’articolo 29 del Dlgs 276/2003, ha trovato una soluzione di compromesso che ha consentito di salvaguardare un impianto normativo equilibrato.

Con questa modifica è stato fatto salvo un principio fondamentale: se l’impresa che subentra nell’appalto ha elementi di discontinuità organizzativa rispetto a quella uscente, non si applicano le regole del trasferimento di azienda, neanche se vengono utilizzati gli stessi lavoratori.

L’appalto è un tema caldo anche in sede giudiziale. Può accadere che la fine di una commessa determini un esubero di personale; in questi casi, l’imprenditore deve scegliere se licenziare le persone già impiegate sulla commessa cessata, oppure fare la scelta comparando tutti i profili fungibili. La Cassazione, con la recente sentenza 25653/2017, ha analizzato con equilibrio la questione, evidenziando che, per gli esuberi fondati su un giustificato motivo oggettivo individuale, si possono licenziare i dipendenti impiegati sulla commessa cessata. Tale possibilità, a certe condizioni, viene riconosciuta anche per i recessi collettivi.

Il legislatore – seguendo l’approccio già sperimentato con la modifica dell’articolo 29 della legge Biagi – dovrebbe avere il coraggio di ripensare una disciplina che, nonostante i passi in avanti della giurisprudenza, ancora penalizza troppo le imprese che utilizzano correttamente gli appalti.

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