Contrattazione

Oggi round sul jobs act, il Pd frena

di Giorgio Pogliotti

La rottura con Pisapia c’è da attendersi che produrrà una frenata del Pd sulle modifiche annunciate nel pacchetto lavoro della legge di Bilancio. L’addio all’alleanza con Campo progressista è destinata a lasciare sul terreno le correzioni al Jobs act, annunciate dal Pd per cercare una “sponda” politica a sinistra: nello scenario che si è creato a partire da ieri sera, il leader Matteo Renzi non intende fare nuove concessioni alla sinistra. «Se ne riparlerà alla prossima legislatura», ha commentato l’ex premier con i suoi più stretti collaboratori.

La prima “vittima” potrebbe essere la proposta di ridurre la durata massima dei contratti a tempo determinato da 36 a 24 mesi, contenuta in un emendamento alla legge di Bilancio presentato alla Camera dalla responsabile Lavoro Pd, Chiara Gribaudo, che fa parte dei 17 che ieri hanno superato il vaglio dell’ammissibilità. Sarà decisivo per conoscere la sorte dell’emendamento il confronto con il governo che è atteso per questa mattina alle 8,45. Il governo - rappresentato in commissione dal sottosegretario al Lavoro, Luigi Bobba - opponendosi alle modifiche sugli indennizzi sui licenziamenti e la governance dell’Inps rischia di andare in minoranza.

Sui contratti a termine i tecnici di palazzo Chigi stavano lavorando anche alla riduzione del numero massimo di proroghe dalle attuali 5 a 3, insieme alla sforbiciata della durata da 36 a 24 mesi. Il decreto Poletti, primo atto del governo Renzi sul mercato del lavoro, introdusse a marzo del 2014 la possibilità per gli imprenditori di stipulare contratti a termine della durata di 36 mesi senza più dover indicare la ragione (il cosiddetto “causalone”). La nuova disciplina recepita dal Jobs act (Dlgs 81/2015) ha ridotto enormemente la discrezionalità dei giudici del lavoro, il precedente è rappresentato dalla legge Fornero (n.92 del 2012) che ha introdotto il contratto a termine acausale, consentendo al datore di lavoro di stipulare per una sola volta un contratto privo dell’indicazione della causale, per una durata massima di un anno, non prorogabile. Guardando i numeri del contenzioso, si è passati da 8.019 cause (2012) a 4.363 (2013), per scendere a 2.867 vertenze (2014), poi a 1.789 (2015), a 1.246 (2016) attestandosi a 490 (primo semestre 2017), senza che nel frattempo vi sia stato un parallelo crollo del ricorso ai contratti a termine. Dal 2014 al 2016 la contrazione del contenzioso è stata del 56,5 per cento. La firmataria dell’emendamento, Chiara Gribaudo (Pd) ha spiegato che «in linea con il Jobs act il contratto a tutele crescenti deve essere la forma privilegiata dalle imprese, anche per questo servono limiti più stringenti ai contratti a termine». Tra gli emendamenti firmati da Gribaudo, figura un pacchetto di misure per le politiche attive del lavoro, con la valorizzazione del personale dei centri per l’impiego e di Anpal, e la conferma anche per i dottorandi dello sgravio contributivo del 50% in caso di assunzione a tempo indeterminato.

Le annunciate modifiche ai contratti a termine, peraltro, vengono guardate con preoccupazione da Confindustria, agli imprenditori sfuggono le ragioni tecniche di queste correzioni, che sembrano più legate a ragioni squisitamente politiche. A schierarsi contro è il presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Epi), che dal taglio dei contratti a termine si attende meno occupati: «Il Pd prosegue la sua ricorsa a sinistra volendo modificare la norma sui contratti a termine nel senso di ridurne la durata massima da 36 a 24 mesi - sostiene-. La modifica dovrebbe soddisfare coloro che pensano sia possibile incentivare i contratti a tempo indeterminato disincentivando tutti gli altri. Peccato che la risposta del mercato sarebbero solo meno occupati in un mercato del lavoro già rattrappito». Per Sacconi con queste scelte il Pd «aggrava solo il suo declino perché non piace né alla sinistra né al centro del corpo elettorale». Guarda invece con favore alle modifiche Pietro Ichino (Pd), ordinario di diritto del Lavoro alla Statale di Milano: «La disciplina attuale del contratto a termine venne introdotta dal decreto Poletti del marzo 2014, quando la riforma del contatto a tempo indeterminato era ancora di là da venire - sottolinea –. Ora che la riforma dei licenziamenti è in vigore da quasi tre anni, e se ne è constatata l’efficacia, con il crollo del contenzioso giudiziale su questa materia, mi sembra molto sensato ridurre a 24 mesi la durata massima della fase di possibile inserimento in azienda col contratto a termine, per accelerare l’accesso al rapporto stabile».

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