Contrattazione

Contratti collettivi «pirata» a copertura degli appalti illeciti

di Giampiero Falasca

L’accordo sulle relazioni industriali firmato il 9 marzo scorso da Confindustria e confederazioni sindacali punta a contrastare il fenomeno dei contratti collettivi “pirata”. È una scelta strategica importante per il funzionamento del mercato del lavoro e della concorrenza, considerati gli effetti perversi che genera la combinazione di questi accordi con gli appalti illeciti.

La nozione di contratti “pirata” fa riferimento ad accordi collettivi firmati da organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro e dei lavoratori prive del requisito della “maggiore rappresentatività comparativa”; organizzazioni con pochi iscritti, nei casi fisiologici, o soggetti privi di reale consistenza associativa, creati solo per firmare falsi accordi collettivi, nei casi più gravi.

L’elemento unificante dei contratti collettivi “pirata” è la previsione di costi e regole molto più convenienti per i datori di lavori rispetto alle intese siglate dalle organizzazioni più rappresentative.

Questi accordi, come accennato, generano una miscela esplosiva con l’uso disinvolto dell’appalto (e della subfornitura industriale) fenomeno denunciato di recente dall’Inl (circolare 7/2018). Si diffondono sempre più operatori più aggressivi e spregiudicati che “adottano” il contratto pirata per offrire alle imprese personale con costi notevolmente ridotti rispetto agli standard minimi di mercato.

L’operazione è conveniente solo in apparenza. La scelta del contratto collettivo da applicare è, infatti, assolutamente libera, ma ci sono alcuni paletti insuperabili. Il datore di lavoro non può riconoscere un trattamento economico e normativo inferiore a quello previsto dai contratti collettivi cosiddetti “leader”, cioè firmati dai soggetti più rappresentativi (limiti desumibile dall’articolo 36 della Costituzione) e, soprattutto, la contribuzione previdenziale va calcolata facendo riferimento ai valori previsti da tali accordi.

I rischi aumentano ancora se si passa alla parte normativa del contratto: tutti i rinvii contenuti nella legge al contratto collettivo per completare, integrare o modificare la disciplina dei contratti flessibili (somministrazione, termine, apprendistato, ecc.) o per avviare alcuni istituti (ad esempio, la detassazione dei premi di produttività) hanno come riferimento il contratto leader.

Questi paletti consentono di contrastare gli abusi, anche se manca un pezzo importante (di cui si occupa l’accordo del 9 marzo), quello dei meccanismi oggettivi per misurare la rappresentatività dei soggetti stipulanti.

La combinazione perversa tra contratti “pirata” e appalti espone a rischi anche da un diverso punto di vista. Il committente che sceglie un operatore che viola gli standard minimi contrattuali è comunque responsabile in solido con l’appaltatore per tutte le omissioni contributive e retributive eventualmente accertate a carico dell’appaltatore (così l’articolo 29 del Dlgs n. 276/03, esteso di recente dalla Corte costituzionale, in via interpretativa, al contratto di subfornitura).

Il perimetro della convenienza si restringe ulteriormente se l’appalto non ha come oggetto l’erogazione di un vero servizio, ma si riduce in una semplice operazione di prestito di personale.

In questa ipotesi, come chiarito di recente dalla giurisprudenza, le parti realizzano una somministrazione di manodopera, quel negozio che consente a un’impresa di “fornire” a un altro soggetto ore di lavoro di propri dipendenti.

Il contratto di somministrazione, infatti, può essere stipulato solo con operatori autorizzati dal ministero del Lavoro (le Agenzie per il lavoro), previa verifica del rispetto di alcuni requisiti molto stringenti. Se il contratto viene avviato - sotto le mentite spoglie dell’appalto - con operatori non autorizzati, si entra nel campo della somministrazione irregolare, con pesanti illeciti civili, penali e amministrativi.

Le definizioni

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