Contrattazione

Il confine tra le forme di occupazione

di Giampiero Falasca

Sono rimasti in pochi a negare la crisi delle regole tradizionali del nostro diritto del lavoro rispetto alle trasformazioni imposte dalla rivoluzione digitale.

La presa di coscienza collettiva di questa situazione è un fatto positivo, ma non basta: di fronte alla velocità e all’impatto di queste innovazioni, è necessario trovare quanto prima delle soluzioni concrete. Non deve necessariamente trattarsi di soluzioni definitive: siamo ancora dentro la fase di cambiamento e non abbiamo piena coscienza di quale sarà il punto di approdo. È opportuno, quindi, iniziare ad affrontare le emergenze più rilevanti, lasciando al medio e lungo periodo la soluzione alle questioni di cui ancora non si intravede fino in fondo la portata complessiva.

Le emergenze più immediate riguardano gli effetti negativi che produce la “crisi” della subordinazione tanto sulle imprese quanto sui lavoratori.

L’impossibilità di collocare con certezza alcune forme di lavoro dentro schemi solidi produce un costo rilevante per i datori di lavoro - in termini di complessità gestionale - e allo stesso tempo indebolisce le tutele per chi svolge l’attività lavorativa. Per accorciare la distanza crescente tra realtà produttiva e regole del lavoro servirebbero, a mio avviso, due correttivi, uno dedicato specificamente ai lavori saltuari e occasionali (protagonisti della gig economy) e uno di carattere più generale.

Per quanto riguarda le forme di lavoro saltuario od occasionale, il nostro diritto del lavoro mostra crepe rilevanti: ogni giorno nascono decine e decine di nuovi lavori, che non trovano alcuna collocazione dentro un sistema di regole inadeguato.

L’attuale assetto normativo è figlio di scelte irrazionali, misure contraddittorie e, soprattutto, di un formalismo di base che ha prodotto un numero eccessivo di forme contrattuali senza una logica complessiva.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: chi vuole utilizzare un’ora di lavoro per una prestazione occasionale deve districarsi tra collaborazioni, partite iva, incarichi autonomi occasionali, libretto di famiglia, lavoro intermittente, contratti a termine e così via.

Ciascuno di questi contratti ha regole molto complicate da rispettare, con incertezze applicative e costi gestionali che non servono a nessuno, favoriscono il contenzioso e, nei casi peggiori, incentivano lavoro nero e irregolare.

È necessario ripensare l’approccio complessivo verso il lavoro saltuario andando nella direzione della semplicità: contro le spinte demagogiche, basate su dati falsi, bisogna riprendere la strada tracciata dal voucher, (ri)creando una forma contrattuale semplificata che consenta di gestire in modo ordinato e sicuro il lavoro saltuario, garantendo anche un salario minimo decoroso.

Se si parla di lavoro saltuario, è necessario anche coinvolgere maggiormente sul tema gli utenti delle piattaforme digitali, che oggi sono i “motori” principali, non sempre consapevoli, della pressione verso il ribasso dei compensi dei lavoratori della gig economy. Sarebbe necessaria da parte dei consumatori una maggiore attenzione alle conseguenze degli acquisiti al massimo ribasso.

L’altro ripensamento imposto dalla rivoluzione digitale, più impegnativo ma altrettanto fondamentale, riguarda il confine tra lavoro subordinato, parasubordinato e autonomo.

È ormai praticamente impossibile poter tracciare con precisione la differenza tra un rapporto di lavoro subordinato dove l’orario e il posto di lavoro hanno un’importanza secondaria (situazione ormai tipica nell’economia dei servizi), e un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa che richiede un rapporto costante con il committente.

La difficoltà di definire la linea di confine tra queste situazioni dovrebbe indurre il legislatore a potenziare ancora di più il lavoro agile, ampliando lo spazio concesso alle parti per modellare la prestazione in funzione dei risultati, garantendo incentivi per chi lo utilizza e riducendo i rischi connessi al suo utilizzo.

Questo intervento consentirebbe di limitare la crescente diffusione di una forma contrattuale - la collaborazione coordinata e continuativa - che sembrava destinata a scomparire e, invece, sta vivendo una seconda giovinezza nel mercato, in quanto sta diventando la via di fuga per chi non riesce a “collocare” una certa attività umana dentro gli schemi tradizionali.

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