Contrattazione

Causali sempre verificabili anche da parte del lavoratore

di Enzo De Fusco

Il cosiddetto decreto Dignità reintroduce l’obbligo di indicare il motivo di apposizione del termine al contratto di lavoro quando la durata eccede i 12 mesi con il primo o con successivi contratti. Le causali tipizzate riguardano: esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; esigenze sostitutive di altri lavoratori; esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

Il requisito essenziale e trasversale a tutte le causali è la loro oggettività. Si tratta di un requisito analizzato dalla giurisprudenza con riferimento alle precedenti norme e si sostanzia nel fatto che il motivo richiamato deve essere verificabile (anche dal lavoratore). Tale requisito si ritiene applicabile a tutte le ipotesi previste dalla bozza di decreto (il quale probabilmente sarà ritoccato in Parlamento anche nella parte delle causali, si veda a pagina 3), anche se non espressamente previsto dalla norma, poiché consente la concreta verifica della condotta genuina del datore di lavoro.

Una prima causale prevede il requisito dalla temporaneità dell’esigenza, purché estranea all’ordinaria attività. Il motivo indicato, oltre a essere concretamente verificabile, deve riguardare quindi un’esigenza di carattere transitorio. In ogni caso la bozza di decreto prevede che il motivo oggettivo e temporaneo non deve riguardare la normale attività dell’impresa. Pertanto, l’apposizione del termine oltre i 12 mesi sarà consentita, ad esempio, solo per gestire lo sviluppo di una nuova linea di prodotto o per gestire un nuovo progetto specifico.

Al contrario, se il motivo è connesso all’ordinaria attività dell’impresa, scatta la seconda causale, secondo cui l’apposizione del termine è consentita solo per esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività. Si tratta di requisiti che dovrebbero sussistere congiuntamente e quindi restringono di molto il campo di applicazione. Per fare un esempio, non sarebbe più possibile l’apposizione del termine oltre i 12 mesi con lo stesso lavoratore per gestire i saldi di stagione da parte di un punto vendita. Questa esigenza, che pur essendo temporanea rientra nella normale attività d’impresa, anche se fosse (probabilmente) significativa non soddisferebbe il requisito della «non programmabilità». Tuttavia, il requisito che potrebbe generare maggiore contenzioso è rappresentato dalla valutazione «significativa» dell’esigenza. D’altronde si tratta di una valutazione che si presta ad essere dimensionata da persona a persona e da luogo a luogo.

Una terza causale riguarda le ragioni sostitutive. In questo caso, la formulazione utilizzata dal legislatore è molto ampia e anche in relazione alle precedenti esperienze normative sembrerebbe legittima l’apposizione di un termine al contratto di lavoro indipendentemente dal fatto che il personale da sostituire si sia assentato per ragioni imprevedibili e non programmabili. Questo significa che qualsiasi motivo che determina l’assenza di un lavoratore, anche se tale assenza rientra nelle normali dinamiche del rapporto di lavoro (ad esempio, per ferie), rappresenta un valido motivo di indicazione del termine. Non è rilevante se il lavoratore sostituito abbia o meno un diritto legale o convenzionale alla conservazione del posto di lavoro. La norma non prevede l’indicazione del nome del lavoratore da sostituire, anche se il datore di lavoro deve essere sempre nella condizione di dimostrare oggettivamente l’esigenza.

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