Contrattazione

Per i contratti a termine si apre la lotteria-causali

di Giampiero Falasca

La reintroduzione delle causali, a opera del decreto legge “dignità” (87/2018) per i contratti a termine, anche in somministrazione, avrà un effetto certo - la ripresa del contenzioso – senza offrire alcuna tutela aggiuntiva ai lavoratori.

Lo dicono le statistiche: le cause sui rapporti a tempo abbondavano quando esisteva la causale e sono crollate da quando è stata eliminata, nel 2014, questa formalità burocratica.

Qualcuno potrebbe obiettare che la crescita del contenzioso potrebbe essere evitata dalle imprese “applicando bene” le causali. Questo ragionamento, apparentemente ineccepibile, è in realtà sbagliato, perché le causali sono per loro natura insuscettibili di applicazione corretta. Come potrà un’azienda avere in anticipo la certezza che un certo incremento di attività si può considerare «significativo»? Chi potrà dire con certezza che un certo fabbisogno si può considerare «non programmabile»? Ancora più oscuro è il requisito della “estraneità” all’ordinaria attività dell’impresa: un’azienda che produce macchine e ha un ufficio marketing, potrà considerare le promozioni commerciali come qualcosa di “estraneo” all’ordinaria attività?

Le opzioni saranno talmente tante che ciascun giudice – in assenza di parametri solidi – potrà dare una valutazione diversa, trasformando il contratto a termine di durata superiore a 12 mesi in una grande lotteria giudiziaria. Lotteria da cui non usciranno sconfitte le aziende che avranno “applicato male” le norme ma, piuttosto, tutti quei datori di lavoro che avranno avuto la sfortuna o l’imperizia di scrivere delle causali non in linea con il convincimento personale del giudice di volta in volta chiamato a valutare il contratto.

Questa situazione di assoluta incertezza coinvolgerà anche i contratti di somministrazione. Il Dl 87/2018, infatti, introduce le stesse regole del contratto a termine (nonostante tale fattispecie abbia una disciplina comunitaria del tutto diversa) e richiede che la causale sia inserita nel contratto di lavoro del dipendente (invece che in quello commerciale stipulato tra l’agenzia e l’impresa utilizzatrice, come accadeva fino al 2014).

È un errore oppure il legislatore vuole dire che – quando applicabile – la causale deve essere riferita all’agenzia per il lavoro e non all’utilizzatore? Questa conclusione sarebbe tuttavia del tutto irrazionale rispetto all’assetto complessivo della somministrazione, strumento che serve a soddisfare sempre esigenze di lavoro flessibile di un terzo (l’utilizzatore), e quindi non mancheranno interpretazioni difformi sul punto. L’oscillazione tra le due opzioni produrrà, anche qui, un solo vincitore: il contenzioso.

Anche volendo dimenticare i problemi interpretativi, le esigenze indicate nel Dl 87/2018 sono talmente restrittive ed eccezionali da risultare applicabili in pochissimi casi.

La prima causale si compone, infatti, di ben tre elementi, che dovranno coesistere contemporaneamente: esigenze «temporanee», «oggettive» ed «estranee all’ordinaria attività». Se un negozio di abbigliamento avrà bisogno, ad esempio, di un lavoratore a termine già utilizzato in passato per gestire una campagna promozionale della durata di un mese, non potrà procedere al rinnovo del contratto: l’esigenza è temporanea, è oggettiva ma non è certamente estranea all’attività ordinaria.

Né potrebbe soccorrere la seconda causale prevista dal decreto: incrementi «temporanei», «significativi» e «non programmabili» dell’attività ordinaria. Anche in questo caso, infatti, ci sarebbero solo due delle tre condizioni: l’incremento sarebbe temporaneo, sarebbe significativo ma non potrebbe definirsi “non programmabile”. La soluzione? Scartare il dipendente che, per la sua storia lavorativa, può essere utilizzato solo con la causale, e assumerne un altro per il quale non è necessaria la giustificazione. In questo modo la lotta la precariato produrrebbe un grande turn over tra lavoratori. Eterogenesi dei fini.

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