Contrattazione

Con le causali più rigide contratti a tempo ridotti a un anno

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

«Il nostro attuale mercato di riferimento è caratterizzato da picchi di lavoro sempre più imprevedibili, oltre che da una forte concorrenza. In questo quadro, dove la flessibilità diventa un elemento indispensabile per essere competitivi, il decreto dignità, calato all’improvviso sulle imprese, non è stato di aiuto. Anzi. Le causali sono pressocché impraticabili, i contratti a termine adesso dureranno in pratica 12 mesi. Dopo, andrà fatta una valutazione attenta del candidato e bisognerà anche vedere se il budget aziendale consente la sua stabilizzazione. Nelle funzioni impiegatizie, risorse umane o contabilità per esempio, la programmazione di un’assunzione a tempo indeterminato è un po’ più facile, nelle linee produttive invece diventa complicato».

Cristina Meneghin, è responsabile Hr di Testori, un gruppo industriale di circa 300 addetti, attivo da oltre 100 anni nel settore tessile tecnico (in particolare nel campo della filtrazione industriale di prodotto e di processo). I primi due mesi di applicazione delle nuove regole, che hanno introdotto un giro di vite sui contratti a tempo e aumentato i costi degli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo nelle tutele crescenti, stanno creando incertezze nelle fabbriche: «Penso che si favorirà un maggior turn-over, penalizzando sia l’impresa sia il lavoratore», aggiunge Meneghin.

Dal tessile alla farmaceutica il passo è breve. Ma le preoccupazioni sono le stesse. Raffaella Maderna è responsabile delle risorse umane della Lundbeck Italia, la multinazionale farmaceutica danese, leader nell’ambito del sistema nervoso centrale, presente in Italia con un centinaio di dipendenti. Sta ancora approfondendo il contenuto del decreto, molto complesso: «Siamo in una fase di formazione - racconta -. Noi utilizziamo contratti a tempo determinato. Le nuove disposizioni appaiono, tuttavia, di difficile applicazione. Ciò rappresenta un deterrente per l’azienda, più che un meccanismo di agevolazione».

Le regole attuali hanno provocato disorientamento tra gli operatori, in un contesto peraltro caratterizzato da una crescita economica in decelerazione. Le imprese hanno attivato una strategia di “riduzione dei danni”, si portano a scadenza i contratti a termine stipulati con le vecchie disposizioni. Per evitare il contenzioso giudiziario, la scelta è di ridurre a 12 mesi la durata dei nuovi contratti, per l’impossibilità di applicare le rigide causali. Si ricorre maggiormente al turn over, per una durata più breve.

I primissimi effetti delle nuove norme - entrate in vigore lo scorso 14 luglio- iniziano a vedersi su un mercato del lavoro che dava segnali di frenata già prima del varo del cosiddetto decreto dignità. Leggendo i dati Istat emerge che il comportamento delle aziende è stato influenzato sia dal contesto economico che dall’effetto annuncio delle nuove misure. A luglio, per il secondo mese consecutivo, l’Istat (ultimo report disponibile) ha registrato un calo di 28mila occupati (a giugno la contrazione è stata di 41mila unità). A soffrire di più è soprattutto la fascia d’età centrale 15-49 anni, a testimonianza sia delle difficoltà in ingresso (l’incentivo giovani rivolto agli under35 ha interessato solo 60mila nuovi contratti stabili in tutto il primo semestre), sia delle crisi e delle riorganizzazioni aziendali ancora in corso.

La situazione è molto delicata, in vista anche dell’autunno, e della manovra economica allo studio del governo giallo-verde. Con la fine degli sgravi generalizzati targati Jobs act si assiste ad una progressiva contrazione dei nuovi contratti stabili: su luglio 2017 sono scesi di ben 112mila unità. E non aiuta a invertire rotta il rincaro degli indennizzi monetari nei casi di recessi datoriali illegittimi. Negli ultimi mesi, poi, stanno frenando anche i rapporti a termine: a luglio, gli occupati temporanei erano solo 8mila in più, dopo i +16mila di giugno (l’aumento si è dimezzato).

Il tasso di disoccupazione è sceso ma resta sopra il 10%; il numero di inattivi tra giugno e luglio ha ripreso a salire, e anche la quota di giovani (under25) senza un impiego, seppur in diminuzione, resta al 30,8% (terz’ultimi nell’area Euro). In questo scenario gli imprenditori attendono una legge di Bilancio con misure a favore della crescita, per la ripresa degli investimenti infrastrutturali. Insieme al rilancio della decontribuzione per il lavoro stabile che possa favorire i contratti a tempo indeterminato. Che potrebbero, così, recuperare appeal.

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