Contrattazione

Alt ai contratti collettivi sulla causale

di Valentina Melis e Alessandro Rota Porta

Sulle motivazioni dei contratti a termine i contratti collettivi nazionali, aziendali e territoriali non possono più intervenire. Nè sulla durata massima di un anno del primo incarico a tempo determinato (senza causale). Su questi temi, si applicano per tutti le regole nazionali dettate dal decreto estivo (Dl 87/2018, convertito dalla legge 96/2018) e non ci sono più margini per la contrattazione di primo e di secondo livello. Maglie più elastiche, invece, sulla somministrazione a termine: anche se è stato introdotto un tetto massimo di utilizzo che prima non c’era (il 30% rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato assunti in azienda), è stata lasciata la possibilità ai contratti collettivi di modificarne la disciplina.

La stretta imposta dal nuovo esecutivo ai contratti di lavoro flessibili e alle possibilità di modificare le regole con i contratti collettivi va proprio nella direzione di ridurre il ricorso a queste forme di impiego, senza lasciare spazio per discipline alternative.

Un cambiamento di rotta rispetto al passato
Rispetto al passato si tratta di un deciso cambiamento di rotta: il Codice dei contratti emanato nel 2015 (Dlgs 81/2015) aveva impresso una notevole spinta agli accordi collettivi tra i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali, su diverse materie.

L’articolo 51 del Codice mette sullo stesso piano dei contratti collettivi nazionali le intese territoriali e aziendali, purché sottoscritte delle associazioni sindacali più rappresentative. In sostanza, per le materie indicate nel Dlgs 81/2015 (si veda il grafico a fianco), la contrattazione decentrata non solo non necessita di alcuna delega specifica dai contratti collettivi nazionali ma addirittura vale il principio generale per il quale questi accordi hanno la stessa valenza giuridica. Il campo di intervento della contrattazione resta di larga portata: le intese possono ancora intervenire sulle regole del contratto part-time, sul lavoro a chiamata, sulla disciplina delle mansioni.

Rispetto alle novità più rilevanti introdotte dal decreto estivo, però, come la durata massima del primo contratto a termine e le causali che possono giustificare il ricorso al contratto a termine dopo i primi 12 mesi (esigenze estranee all’attività ordinaria dell’azienda; sostituzione di altri lavoratori; esigenze legate a incrementi non programmabili dell’attività ordinaria), la linea di favore è venuta meno e il legislatore ha optato per un modello standard e non modificabile, esclusa l’ipotesi del contratto di prossimità.

I contratti nazionali
Anche dopo l’eliminazione della causale per il contratto a termine nel 2014, alcuni contratti collettivi nazionali hanno continuato a prevederla, con regole ad hoc per singoli settori (è il caso dei Ccnl delle cooperative sociali, degli Elettrici, di Federculture, degli Istituti socio-sanitari e assistenziali, della Sanificazione del tessile, del Tabacco). La maggior parte dei Ccnl, invece, non prevede più causali per la stipula di un contratto a tempo determinato (come rivela lo studio svolto a luglio da Adapt, l’Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali, «Il lavoro temporaneo fra contratti a termine e somministrazione»).

I contratti aziendali
Nelle intese aziendali, la frequenza degli interventi sulle formule contrattuali è diminuita negli ultimi anni, «probabilmente per la progressiva liberalizzazione della materia», come rivela il quarto Rapporto sulla contrattazione aziendale 2016/2017 dell’Ocsel, l’Osservatorio nazionale sulla contrattazione di secondo livello della Cisl. «Dopo il decreto estivo - spiega il coordinatore dell’Osservatorio Roberto Benaglia - restano margini alla contrattazione di secondo livello sulla durata complessiva dei contratti a termine e sui tetti di contingentamento, ma il vero collo di bottiglia è la causale, che scatta comunque dal tredicesimo mese, non è modificabile e ha le stesse regole restrittive per tutti». È una scelta che potrebbe non favorire la contrattazione in una fase di ripresa economica, come spiega ancora Benaglia: «Le aziende e i sindacati nel 2016 e nel 2017 hanno trattato di più su salari, premi di risultato e misure di welfare. Meno, invece, su ristrutturazioni e misure anti-crisi. Questo è un segnale di ripresa. In questo contesto, se si discute di nuove assunzioni anziché di uscite, il sindacato normalmente è disponibile a trattare, anche sulle nuove formule contrattuali».

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