Contrattazione

I contratti collettivi possono prevedere formule ad hoc

di Giampiero Falasca e Alessandro Rota Porta

In assenza di disposizioni specifiche nei contratti collettivi, il perimetro della stagionalità va cercato tra le attività elencate dal Dpr 1525/1963. Tra queste figurano la sgusciatura delle mandorle, la raccolta e conservazione dei prodotti sottobosco, la raccolta e spremitura delle olive, la produzione del vino comune, la scorzatura del sughero, il taglio delle erbe palustri e il diserbo dei canali e così via. È evidente che alcune attività siano del tutto desuete.

Questo fa sì che l’efficacia di questa norma e, di conseguenza, il rimando a essa per la definizione della stagionalità, sia ormai quasi completamente depotenziato.

L’addizionale sui contributi
La questione non è di poco conto perché al concetto di stagionalità come definito dal Dpr 1525/1963 è legato anche l’esonero dal versamento del contributo addizionale dell’1,4% a finanziamento della Naspi (articolo 2, comma 28, della legge 92/2012).

Peraltro, a questo onere è collegato anche l’incremento disposto dal Dl 87/2018, pari a 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione. Quindi, l’incremento aggiuntivo introdotto dal cosiddetto decreto «dignità» – che in base alla circolare 17/2018 del ministero del Lavoro ha natura progressiva – resta escluso soltanto per le attività comprese nel Dpr, come il contributo addizionale “normale”.

Le altre facilitazioni normative in materia di contratto a termine (nessun limite di durata massima del rapporto, nessun obbligo di applicare le pause tra un contratto a termine e il successivo, nessun limite in materia di contingentamento, eccetera) si possono agganciare non solo alle ipotesi di stagionalità dettate dalla norma citata ma anche a quelle individuate dai contratti collettivi.

Il perimetro nei Ccnl
È recente, ad esempio, l’accordo siglato nel comparto del trasporto aereo che ha regolato la stagionalità nell’ambito delle attività operative per un periodo massimo complessivo di sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti, facendo sì che i periodi di lavoro svolti con contratti di lavoro a tempo determinato stagionali non concorrano a determinare i limiti di durata massima fissati dalla legge.

Ci sono altri contratti collettivi nazionali che storicamente hanno definito la stagionalità. Nel turismo, sono considerati stagionali le aziende che osservano, nel corso dell’anno, uno o più periodi di chiusura al pubblico. Inoltre il Ccnl annovera tra le ipotesi di apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro le ragioni di stagionalità previste nel Dpr 1525, con un rimando al decreto.

Anche il contratto collettivo degli operai agricoli disciplina puntualmente la materia, definendo gli operai a tempo determinato quelli assunti – tra le diverse attività indicate - per eseguire lavori di breve durata, stagionali o a carattere saltuario.

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