Contrattazione

Tutele crescenti e articolo 18 assimilati dalla giurisprudenza

di Giampiero Falasca

La giurisprudenza ha assottigliato e quasi annullato le differenze tra le “tutele crescenti” e il sistema sanzionatorio contenuto nell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (nella versione aggiornata dalla legge Fornero del 2012).

A quattro anni esatti dall’entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015 (utilizzabile dal 7 marzo del 2015) è possibile fare un bilancio abbastanza completo sui risultati applicativi di una riforma molto discussa.

Il progressivo avvicinamento tra i due sistemi è passato attraverso il concetto di «inesistenza del fatto giuridico»: considerato che nel sistema dell’articolo 18 un fatto materialmente esistente ma giuridicamente lecito era compatibile con la reintegra, il Jobs act ha introdotto il concetto di fatto materiale per ridurre i casi di applicazione della tutela “forte”. Questo tentativo è stato vanificato dalla giurisprudenza che, anche di fronte alla nuova nozione, ha mantenuto ben saldo il concetto di «inesistenza giuridica» del fatto, riferibile a un fatto che è avvenuto ma non si è concretizzato nella violazione di regole di comportamento (così, per esempio, la Corte d’appello dell’Aquila con la sentenza 993/2017).

Di fronte a questa lettura, il principale elemento di discontinuità tra il vecchio articolo 18 e il regime delle tutele crescenti è diventato il metodo di calcolo dell’indennità risarcitoria. Anche questa differenza è stata, tuttavia, messa in discussione da due interventi incisivi.

Prima il decreto dignità (Dl 87/2018) ha alzato il tetto massimo del risarcimento spettante (il minimo è salito da quattro a sei mensilità, il massimo da 24 a 36), pur lasciando inalterato il criterio di calcolo introdotto dal Dlgs 23/2015 (due mesi per ogni anno di anzianità).

Successivamente, la Corte costituzionale (sentenza 194/2018) ha messo in discussione proprio questo meccanismo, eliminando ogni collegamento automatico tra anzianità e risarcimento, restituendo un ampio margine di discrezionalità al giudice.

Il risultato finale di questi interventi è sorprendente: nato come lo spauracchio per tutti i “nuovi assunti”, il sistema delle tutele crescenti è, oggi, un meccanismo sanzionatorio che, oltre ad assomigliare in molti aspetti a quello precedente, può addirittura risultare più conveniente rispetto all’articolo 18 (che per la tutela indennitaria fissa un limite massimo di 24 mensilità, molto inferiore rispetto ai 36 mesi previsti per le tutele crescenti).

Questo rimescolamento delle convenienze mette in crisi anche quei tanti accordi individuali (e, in alcuni casi, collettivi) che hanno previsto il mantenimento del regime dell’articolo 18 in favore di dipendenti assunti dal 7 marzo 2015, come forma impropria di benefit. Questi accordi si fondavano su un presupposto che oggi è venuto meno ed è facile prevedere grossi problemi interpretativi in caso di applicazione giudiziale di queste intese.

Un altro tema esaminato dalla giurisprudenza riguarda l’applicazione delle “tutele crescenti” ai contratti a termine nati prima del 7 marzo 2015 e trasformati a tempo indeterminato a partire da quella data: secondo una lettura più vicina alla volontà del legislatore, questi contratti sarebbero soggetti al Dlgs 23/2015 (lettura confermata anche dal tribunale di Parma, sentenza 383/2019). Secondo una ricostruzione differente (tribunale di Roma, ordinanza 75870/2018) a questi contratti si applica l’articolo 18: con i cambiamenti intervenuti nell’ultimo anno, non è detto che sia una buona notizia per i lavoratori.

Gli orientamenti dei giudici

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