Contrattazione

Imprese e sindacati: ora tagliare il cuneo Apertura da Di Maio

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

L’impegno a «lavorare per ridurre il cuneo fiscale» è scritto nero su bianco nel Def. Ma adesso, dopo il pressing di imprese e sindacati, con l’apetura del vicepremier Luigi Di Maio, un intervento di riduzione del costo del lavoro sembra farsi più concreto. «Dobbiamo liberare le imprese dalla pressione fiscale enorme, a partire dal taglio del cuneo fiscale su cui lavoreremo nei prossimi mesi in vista della prossima legge di Bilancio», ha detto il ministro intervenendo al Quirinale per la cerimonia del 1° maggio.

Il tema era stato lanciato più di un anno fa da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil nel Patto per la fabbrica, quando le parti sociali hanno posto l’accento sulla necessità di un intervento fiscale a favore del lavoro, per alzare i salari agendo sulla riduzione del cuneo fiscale dei lavoratori dipendenti, anche in chiave di rilancio dei consumi interni. A questo proposito, la piattaforma unitaria dei sindacati confederali al centro delle mobilitazioni denuncia «un carico fiscale eccessivo sui redditi da lavoro dipendente e da pensioni», sollecitando una «riforma fiscale complessiva, che riduca le tasse ai lavoratori dipendenti aumentando le detrazioni, con una maggiore progressività e un deciso contrasto all’evasione fiscale».

Del resto, sul tema costo del lavoro monstre in Italia, l’ultimo rapporto Ocse sul “Taxing wages” riferito al 2018 evidenzia che abbiamo il cuneo fiscale sul lavoro dipendente tra i più elevati tra i 36 paesi membri: secondo, solo alla Francia, per le famiglie monoreddito e terzo, dopo Belgio e Germania, per i single. Misurando la differenza tra il costo del lavoro sostenuto dal datore di lavoro e il corrispondente reddito netto che arriva effettivamente nelle tasche del lavoratore, dopo aver quindi sottratto l’imposta personale sui redditi e gli oneri sociali e contributivi a carico di entrambe le parti, e tenendo anche conto degli assegni e delle agevolazioni fiscali per le famiglie, l’Ocse ha calcolato che il cuneo per i nuclei familiari con due figli nei quali lavora solo una persona è pari al 39,1% a fronte di una media del 26,6%. Guardando invece ai lavoratori single, l’Italia è al 47,9%, in aumento di 0,2 punti rispetto al 2017, pur confrontandosi con una media Ocse decisamente inferiore (36,1%) e in calo rispetto al 2017.

Anche il Centro studi di Confindustria ha calcolato il costo complessivo sostenuto da un’azienda. Su una retribuzione netta di mille euro, il costo reale per l’imprenditore è di 1.828 euro. Su un salario di 3mila euro netti mensili, l’esborso per il datore arriva a 7.311 euro. Questo perché un’azienda è tenuta a versare il lordo e i contributi a proprio carico, e poi sulla medesima busta paga c’è anche la quota Irpef del lavoratore,con addizionali regionali e locali e una quota di contribuzione. Di qui la richiesta delle parti sociali di affrontare il capitolo del fisco sul lavoro per dare un segnale generale al Paese. Richiesta che ha avuto una riposta il 1° maggio da Di Maio: «Vanno approntati strumenti adeguati, compresa la leva fiscale, le tasse sui redditi da lavoro in Italia sono tra le più alte dei Paesi sviluppati». Resta da vedere se alle parole seguiranno i fatti.

Anche perché l’alleato di governo, la Lega, ha il fisco come priorità, ma per intervenire con la cosiddetta Flat Tax. Si dovrà sciogliere il nodo coperture, considerando che un punto di cuneo in meno sull’occupazione stabile costa alle casse statali circa 2,5 miliardi, ma se si limita ai soli neoassunti a tempo indeterminato si scende nell’immediato a 3-400 milioni. Nelle scorse settimane i tecnici del governo avevano ipotizzato di rendere strutturale il taglio delle tariffe Inail in chiave di riduzione del cuneo, utilizzando le risorse non spese del reddito di cittadinanza e Quota 100. «La strada della riduzione del costo del lavoro è giusta – sottolinea l’economista del lavoro, Marco Leonardi –, ma per essere efficace deve essere permanente, per non avere al termine una riduzione del salario netto dei lavoratori».

L’altro punto in agenda di governo indicato dal ministro del Lavoro è l’introduzione del salario minimo orario, «considerato un obiettivo da realizzare». Il riferimento è al Ddl Catalfo all’esame della commissione lavoro del Senato, oggetto peraltro anche dell’incontro tra Di Maio e i sindacati in calendario lunedì, quando scadono gli emendamenti al Senato. Il Ddl prevede l’introduzione del salario minimo di 9 euro lordi l’ora per tutti i rapporti di lavoro subordinato e parasubordinato, collaborazioni comprese, non solo per i settori scoperti da contrattazione. Imprese e sindacati sono contrari. «Vanno applicate le regole per misurare la rappresentanza per rendere esigibili gli accordi contrattuali che contengono tutele più ampie del solo trattamento economico minimo – spiega Pierangelo Albini, direttore Area lavoro, Welfare e capitale umano di Confindustria – altrimenti il salario minimo provocherà effetti contrari a quelli voluti».

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