Contrattazione

Accordi collettivi e somministrazione le chiavi per i nuovi contratti a tempo

di Aldo Bottini

L’aumento del numero delle trasformazioni dei rapporti di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato registrato nel 2018 e nei primi mesi del 2019 rispetto agli anni precedenti, che emerge dai dati del ministero del Lavoro e dell’Inps, può verosimilmente ricollegarsi all’entrata in vigore del decreto lavoro 87/2018 (solo per la parte di stabilizzazioni verificatasi dalla seconda parte del 2018 in poi), ma questo non autorizza a ritenere che si tratti un effetto stabile delle nuove norme, destinato a ripetersi negli anni a venire.

Può ben comprendersi, infatti, che le aziende, di fronte all’entrata in vigore di nuove regole dichiaratamente restrittive e alle incertezze applicative subito manifestatesi, abbiamo scelto nell’immediato di trattenere in servizio a tempo indeterminato quei lavoratori di cui, in ragione delle capacità e competenze specifiche, reputavano di non potersi privare, approfittando anche degli incentivi contributivi previsti.

Significa allora che per il futuro i lavoratori a termine saranno in larga parte stabilizzati alla scadenza di contratti non più rinnovabili o prorogabili? È lecito dubitarne. Infatti, la maggior parte dei lavoratori a termine, quelli privi di professionalità specifiche, saranno (come sta avvenendo in questi mesi) semplicemente sostituiti con altri, a meno di far ricorso a causali di pressoché impossibile applicazione, con le quali nessuno (giustamente) vuole cimentarsi.

Il ricordo dell’imponente contenzioso sviluppatosi sulla validità delle causali è ancora vivo, e le aziende certo non intendono tornare ad avventurarsi su quella strada.

Le assunzioni a termine, pertanto, non diminuiscono affatto anzi, come si evince dal Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2019 del ministero del Lavoro, costituiscono la forma di contratto prevalente (69,5% delle attivazioni di rapporti di lavoro nel 2018), e ciò per ragioni che non dipendono dalle norme ma dalla situazione economica e dalle sue prospettive.

Per queste stesse ragioni le nuove regole introdotte dal Dl 87/2018 stanno producendo effetti diversi da una generalizzata stabilizzazione. Da un lato, come si è già detto, molti lavoratori, soprattutto quelli con professionalità meno elevate, sono sostituiti da altri alla scadenza dei loro contratti. Dall’altro, le parti sociali, approfittando degli spazi attribuiti alla contrattazione collettiva, stanno modulando le regole in senso meno rigido. E ciò proprio al fine di mantenere al lavoro chi, per effetto delle nuove norme di legge, ne verrebbe allontanato.

Il decreto lavoro, al riguardo, ha mantenuto la possibilità di deroga sindacale (con contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali) a tutta una serie di disposizioni: durata massima, tetti percentuali, stop and go e attività stagionali. E in molte situazioni questa facoltà è stata ampiamente utilizzata, soprattutto per prolungare i limiti di durata massima del singolo contratto o della sommatoria di contratti. Per le causali, invece, il decreto in sé non prevede la possibilità di deroghe sindacali. La necessità di derogare, anche per quel che attiene alle causali, alle nuove disposizioni, ha riportato quindi all’attenzione le possibilità offerte alla contrattazione aziendale e territoriale dall’articolo 8 del Dl 138/2011, una norma molto controversa e soprattutto molto osteggiata da parte sindacale al momento della sua emanazione, che attribuisce alla contrattazione di prossimità (contratti aziendali e territoriali), per determinate materie (tra cui i contratti a termine e la somministrazione) e a determinate condizioni, la facoltà di realizzare specifiche intese che deroghino, con efficacia erga omnes, non solo ai contratti collettivi nazionali ma anche alla legge. Il ricorso a questo tipo di accordi si va quindi diffondendo sempre di più.

Un’altra possibilità di attivare rapporti a termine senza soggiacere alle limitazioni di durata e di rinnovo è offerta dalla somministrazione a termine di lavoratori assunti dall’agenzia a tempo indeterminato: in questa ipotesi, infatti, valgono unicamente i limiti quantitativi percentuali. Una soluzione sempre più diffusa, che coniuga la stabilità del rapporto di lavoro (in capo all’agenzia) con la possibilità per l’azienda di utilizzo a termine del lavoratore. E non è escluso, al riguardo, che molte delle stabilizzazioni registrate nel 2018 e nei primi mesi del 2019 siano state operate proprio dalla agenzie di somministrazione.

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