Contrattazione

Rinnovo dei contratti a termine, incremento della contribuzione addizionale anche nell’intermittente

di Mauro Marrucci

L'aumento della contribuzione addizionale dello 0,50 per cento per il rinnovo dei contratti a termine si ritiene applicabile anche al contratto di lavoro intermittente a tempo determinato pur in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso. Tale affermazione si deduce da una lettura ragionata delle disposizioni di legge e della prassi, da ultimo la circolare 121/2019 dell'Inps.

Sulla base della versione definitiva del Dl 87/2018, come convertito dalla legge 96/2018, è stato riformulato il testo dell'articolo 2, comma 28, della legge 92/2012. La disposizione odierna, nel prevedere che «con effetto sui periodi contributivi di cui al comma 25, ai rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato si applica un contributo addizionale, a carico del datore di lavoro, pari all'1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali», prosegue nella seconda parte precisando che «il contributo addizionale è aumentato di 0,5 punti percentuali in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione. Le disposizioni del precedente periodo non si applicano ai contratti di lavoro domestico».

La lettura della richiamata disposizione si presta a equivoci interpretativi in quanto, mentre nella prima parte parla di contratti «non a tempo indeterminato», nella seconda prevede l'aumento del contributo addizionale con esplicito riferimento a «ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in regime di somministrazione».

L'operatore si deve quindi chiedere se il richiamo al «contratto a tempo determinato» posto nella seconda parte del citato comma 28 debba essere interpretato quale esplicito riferimento al contratto a termine classico (articoli 19 - 29 del Dlgs 81/2015) o, più genericamente, nell'accezione di un qualunque rapporto non a tempo indeterminato, nel senso espresso dalla prima parte della disposizione.

Una possibile risposta potrebbe essere ricercata muovendo dal presupposto secondo cui la norma in argomento assume una rilevanza previdenziale e svolge una funzione disincentivante per il lavoro precario. In tale logica essa prevede l'incremento del contributo addizionale per i rapporti a termine già stabilito nell'1,4 per cento. Poiché tale originaria contribuzione addizionale – sulla scorta dell'interpretazione resa dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con interpello 15/2013 - è dovuta anche per i contratti di lavoro intermittente a termine, conseguenza logica pretende che la maggiorazione dello 0,50% in caso di rinnovo debba essere applicata anche a tale fattispecie contrattuale.

A nulla vale, infatti, il requisito di specialità del contratto intermittente a termine. Del resto, seppure il termine "rinnovo" venga utilizzato unicamente in seno alle disposizioni sul contratto a tempo determinato nell'ambito del Dlgs 81/2015 (articoli 19, 21 e 29), non si vede come non possa non essere rinnovato anche un contratto di lavoro intermittente a termine.

Non è un caso che la circolare Inps 121/2019 - fatte salve eventuali diverse e successive prospettazioni - nell'individuare le esclusioni in materia di contribuzione addizionale aggiuntiva, non indichi tra esse quella relativa al contratto di lavoro intermittente, nella fattispecie a termine.

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