Contrattazione

Il contributo Naspi richiede una verifica ad ampio raggio

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

L'aumento dal 1,4% al 1,9% del contributo aggiuntivo Naspi, voluto dal decreto dignità, è applicabile ai rinnovi dei contratti a termine (Ctd), anche in somministrazione, intervenuti dal 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del Dl 87/2018). L'Inps, tuttavia, lo ha disciplinato solo di recente con la circolare 121/2019, chiedendo – peraltro - ai datori di lavoro di provvedere alla regolarizzazione del periodo pregresso con le paghe di settembre (eniemens da pagare entro il 16 ottobre). Successivamente, con il messaggio 3447/2019, ha disposto che gli arretrati, afferenti al periodo compreso tra il 14 luglio 2018 e agosto 2019, possano essere versati unitamente alle paghe di ottobre 2019 (entro il 18 novembre).

Va rilevato che per l'effettuazione dei calcoli utili a determinare il contributo arretrato da versare, si possono presentare alcune particolarità che possono emergere sia perché il conteggio è riferito a un periodo ampio, sia in quanto lo stesso è collegato a contratti a termine (anche di tipo intermittente) che, per loro natura, possono avere una durata minima ed essere stati rinnovati più volte. Oltre a ciò, va considerato che lo 0,50% di aumento si applica anche quando il lavoratore è stato somministrato. Vale a dire che, nell'ipotesi in cui l'azienda assuma un lavoratore a termine e lo stesso gli era già stato in passato somministrato con un contratto a tempo determinato, si tratta di un rinnovo e scatta l'aumento che paga direttamente il datore che instaura il nuovo rapporto. La stessa considerazione vale anche al contrario. Se un'agenzia somministra un lavoratore a un'azienda che, in passato, ha già occupato lo stesso soggetto con Ctd, deve versare all'Inps lo 0,50% che poi ribalterà sull'utilizzatore.

Proprio sul fronte della somministrazione, va osservato che l'aumento dello 0,50% (incrementale) è dovuto dalle imprese di somministrazione anche laddove le ulteriori assunzioni a termine dello stesso lavoratore (rinnovi) siano effettuate per somministrarlo presso utilizzatori diversi. In questo caso l'onere contributivo ricade sull'impresa di somministrazione che non può ribaltarlo su alcuna azienda utilizzatrice.

Invero, stante la natura particolare del rapporto di lavoro, che nella somministrazione assume aspetto trilaterale, e avuto riguardo alla “ratio legis”, a parere di chi scrive, l'aumento dello 0,50% avrebbe dovuto essere circoscritto ai casi di riproposizione del lavoratore presso il medesimo utilizzatore.

Come già accennato, l'aumento del contributo trova applicazione solo sui rinnovi la cui identificazione postula una necessaria indagine del pregresso. Il punto è capire quanto si deve retroagire. Stante la struttura normativa, il controllo a posteriori sembrerebbe senza limiti temporali, quindi per tutta la vita aziendale.

Se l'azienda, quindi, assume oggi un lavoratore con Ctd e lo ha già avuto 20 anni fa alle sue dipendenze con lo stesso contratto, deve versare lo 0,50 per cento. Questa dinamica, oltre a essere complessa, ci sembra non rispondere alla ratio sottesa alla disposizione che tende a disincentivare un utilizzo sistematico del contratto a termine; questa logica non può ricondursi all'ipotesi appena descritta. In chiave semplificativa, quindi, sarebbe opportuno stabilire, anche in via amministrativa, l'arco temporale in cui verificare l'esistenza di altri contratti a termine con lo stesso lavoratore.

Le imprese di software, che hanno il compito di mettere a punto le procedure per individuare il contributo aggiuntivo da versare, non devono puntare alla situazione dei soli rapporti a termine in essere, ma fare in modo che i programmi analizzino (uno per uno) tutti i singoli rinnovi intervenuti dal 14 luglio 18, anche se i lavoratori non sono più in forza, per verificare la sussistenza dell'obbligo contributivo.

Così, a titolo di esempio, se un lavoratore è presente in azienda con Ctd nel mese di settembre 2019, assunto in sostituzione, lo 0,50% per il rapporto corrente anche se si tratta di un rinnovo non è dovuto. Se però in precedenza, per lo stesso dipendente il datore di lavoro ha instaurato altri rapporti a termine con relativi rinnovi per attività non esentate dal contributo 1,40%, l'aumento riferito ai rinnovi è applicabile, anche se i contratti a termine che li hanno originati sono cessati.

Infine, è appena il caso di ribadire che la sorte dello 0,50% è strettamente collegata al contributo dell'1,40 per cento. Se quest'ultimo è dovuto, anche l'incremento è applicabile. Di contro, la maggiorazione non si paga nei casi (pochi e tassativi) in cui non ricorre l'obbligo del versamento del contributo previsto dall'articolo 2, comma 28, della legge 92/2012.

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