Contrattazione

Il blocco dei contratti a termine frena la nuova occupazione

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

L’entrata in vigore del decreto dignità, a luglio 2018, ha prodotto, nel breve periodo, una crescita di stabilizzazioni di rapporti precari, che, però, negli ultimi mesi è in frenata. Al tempo stesso, le nuove e più stringenti regole previste dal Dl 87 hanno scoraggiato le imprese a utilizzare il lavoro temporaneo, che, infatti, non sta più aumentando. Cosa significa tutto questo? Che se l’economia non riparte, l’occupazione è destinata a ridursi, o quanto meno a non crescere, perché i freni alle assunzioni a tempo determinato non vengono controbilanciati da maggiori attivazioni a tempo indeterminato.

Una nota di approfondimento del Centro studi di Confindustria ha analizzato il recente andamento del mercato del lavoro, intrecciando i dati anche con il decreto dignità che ha reintrodotto le causali dopo i primi 12 mesi di rapporto a termine “liberi”, reso i rinnovi dei contratti a tempo più costosi, e incentivato le trasformazioni per gli under 35. Ebbene, negli ultimi mesi del 2018 e nel primo semestre del 2019, nonostante un Pil fermo, l’occupazione è aumentata, soprattutto nei servizi, in particolare nell’intrattenimento e nella cura alla persona, entrambe attività caratterizzate da forte intensità del fattore lavoro e quindi bassa creazione di valore aggiunto. L’industria, invece, sta facendo più fatica: la produttività è in contrazione ed è riesplosa la Cigs, segno delle difficoltà ancora in corso per molte imprese manifatturiere.

Guardando ai numeri, il CsC evidenzia come da luglio 2018 ad agosto 2019 l’occupazione a tempo indeterminato sia salita di quasi 250mila unità, in netto contrasto rispetto alla stagnazione dei livelli di attività economica, complice in primo luogo le trasformazioni di rapporti a termine “verosimilmente anticipate” per effetto del Dl 87. In altre parole, il mix di stretta normativa e sgravi fiscali ha “anticipato” una fetta di stabilizzazioni che sarebbero comunque avvenute all’avvicinarsi dei massimali di durata più elevati previsti dalla vecchia normativa (36 mesi). L’occupazione a termine, invece, nello stesso arco temporale, vale a dire luglio 2018-agosto 2019, è rimasta sostanzialmente stabile sia in livelli che in incidenza: i dipendenti a termine, infatti, l’anno scorso erano 3 milioni e 62mila unità, il 13,2% dell’occupazione totale, ad agosto di quest’anno hanno toccato quota 3 milioni e 63mila unità, rappresentando così il 13,1% dell’occupazione totale. Tutto ciò avrà degli effetti, già nei prossimi mesi, sul mercato del lavoro, prevede il CsC. E cioè: l’aumento di occupati a tempo indeterminato e di trasformazioni non potrà durare nel medio lungo periodo. Questo per almeno due ragioni. Primo, perché se l’occupazione a termine cresce meno (rispetto al passato) allora si assottiglia la platea di persone “trasformabili”. Secondo, perché alla lunga non ci può essere crescita occupazionale senza crescita economica e quindi l’occupazione (di qualsiasi tipo) non potrà proseguire il segno più se il Pil non riparte.

«I dati mostrano che le imprese hanno semplicemente anticipato la scelta di trasformare una quota di contratti a termine in rapporti di lavoro a tempo indeterminato - spiega Pierangelo Albini, direttore dell’Area lavoro, welfare e capitale umano di Confindustria-. L’aumento delle trasformazioni era prevedibile, visti l’elevato numero di contratti a termine del 2017 e la propensione delle imprese a trasformarne una quota significativa. Nel valutare gli effetti del decreto si deve considerare anche il calo complessivo delle assunzioni e bisogna riflettere anche sulla relazione fra la crescita delle partite Iva unipersonali e il calo della somministrazione e dei contratti a termine».

La rilevazione Inps sulla variazione netta dei rapporti di lavoro tra gennaio e agosto fa registrare un saldo ancora positivo (+842.359), ma inferiore rispetto a quello dello stesso periodo del 2018 (+876.249). A chiedere un correttivo al Dl 87 sono anche i consulenti del lavoro: la presidente del Consiglio nazionale, Marina Calderone, propone di integrare la nozione di stagionalità con quella contemplata dalla contrattazione collettiva. Obiettivo: ampliare l’esclusione dei lavoratori stagionali dal pagamento del contributo addizionale dello 0,5%.

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