Contrattazione

Nuovi occupati post crisi? Un milione, ma part-time

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Ci sono almeno tre fattori, seppur con pesi differenti, a spiegare la crescita del lavoro part-time. Primo: l’esigenza, soprattutto delle donne, di scegliere orari di impiego ridotti per conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari. Secondo: una ricomposizione della crescita occupazionale verso il terziario, verso attività caratterizzate da una forte intensità del fattore lavoro con bassa creazione di valore aggiunto, e da rapporti contrattuali molto spesso non a tempo pieno. Terzo: la scelta di molte imprese, anche del comparto industriale, di ridurre l’orario per fronteggiare il ciclo economico sfavorevole, anche per salvare posti di lavoro.

Nel primo semestre 2019 gli occupati a tempo parziale sono cresciuti di 144mila unità rispetto al secondo semestre 2018, come ha evidenziato il Centro studi Confindustria, contro i meno 104mila a tempo pieno; l’incidenza del lavoro parziale sull’occupazione totale è salita dal 18,4 al 19 per cento. Sono 4 milioni e 483mila i lavoratori a orario ridotto conteggiati dall’Istat nel secondo trimestre di quest’anno, oltre un milione in più rispetto al periodo pre-crisi; le donne sono la stragrande maggioranza, rappresentano il 73,4% dei lavoratori a tempo parziale. Non è la prima volta che l’aumento tendenziale degli occupati, specie in un momento di economia stagnante, sia sostenuto (quasi) interamente dal part-time. È accaduto anche negli anni 90, quando, a seguito della crisi il part-time è stata la prima forma di lavoro a crescere. Dopo un andamento altalenante negli anni Duemila, il part-time si è ridotto tra la fine del 2017 e il 2018, mentre è cresciuto il tempo pieno. Poi il lavoro a tempo parziale ha ripreso vigore negli ultimi tre trimestri, tornando ad essere l’unica componente in aumento nel secondo trimestre 2019.

Certo l’incremento di più di un milione di occupati part-time dal periodo pre-crisi è legato esclusivamente al part-time involontario, svolto in mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno: nel decennio l’incidenza del part-time involontario sul totale dei lavoratori a tempo parziale è salita dal 41 al 65%. Circa i due terzi dell’aumento del part-time involontario nei dieci anni riguarda le donne. Tale crescita ha più che compensato la perdita di posti di lavoro a tempo pieno, sostenendo l’occupazione femminile durante la crisi: delle 492mila occupate in più tra il 2013 e il 2018, il 40,4% svolge un lavoro a orario ridotto perché non ne ha trovato uno a tempo pieno (24,1% per gli uomini). Considerando l’insieme degli occupati, nel Mezzogiorno è maggiore la quota di part-time involontario che nel 2008 arrivava al 14,3 per cento (+6,7 punti percentuali in 10 anni, contro i +6 del Nord) e al 23,7 per cento tra le donne. Ma l’esplosione del part-time involontario nasconde anche il lavoro nero: «Nell’autotrasporto merci - spiega Mario Bresciani (Fit-Cisl)- tra le cooperative della logistica, ma anche nell’igiene urbana abbiamo riscontrato il ricorso al part-time fantasma, con persone assunte a tempo parziale che fanno in realtà lavoro full-time. C’è evasione contributiva, si fanno pagamenti fuori busta, contando sul numero esiguo di ispettori in grado di controllare».

Il legame tra l’aumento dell’occupazione nei servizi e del part-time, emerge chiaramente dall’analisi dell’andamento di settori e professioni. In proporzione è aumentato il peso dei comparti dove oltre un quarto degli occupati lavora a orario ridotto: sanità, servizi alle imprese, alberghi e ristorazione, servizi alle famiglie (settore in cui la quota di part-time è pari al 54,6 per cento). Viceversa è diminuito il peso dei settori con una maggiore intensità dell’occupazione a tempo pieno, come l’industria in senso stretto e le costruzioni, dove oltre il 90% degli addetti è full-time. Anche l’andamento delle professioni mostra un incremento di quelle svolte nelle attività commerciali e non qualificate (+774mila e +479mila occupati, rispettivamente) dove il part-time è più diffuso (30,3% e 36,9%) e la diminuzione delle professioni operaie qualificate (-991mila e -165mila) per le quali il lavoro a tempo parziale rimane meno diffuso (7,7% e 13,3%). «Soprattutto nella grande distribuzione organizzata - spiega Vincenzo Dell’Orefice (Fisascat-Cisl)- il ricorso al part-time è legato ad un’organizzazione del lavoro che prevede l’impiego di più lavoratori solo per alcune ore del giorno, quando si registrano i picchi di domanda. Come sindacato abbiamo negoziato pacchetti orari aggiuntivi che l’azienda può usare in modo flessibile, per aumentare le buste paga dei lavoratori e la produttività».

Il contratto a tempo parziale, quando è volontario, viene usato nell’ambito della conciliazione tra la vita privata e lavoro, per esigenze di cura, o per la staffetta generazionale (si vedano i casi riportati in pagina). «Il part-time non è da demonizzare di per sé - sottolinea Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all’università Bocconi di Milano -. Vista la sua flessibilità può essere uno strumento utile per gestire i nuovi lavori. Negli Stati Uniti, ad esempio, è molto apprezzato dai giovani. Anche da noi può rappresentare una risposta che guarda alle esigenze di imprese e lavoratori».

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